Episodio 3 – La 24 ore di Zombicity

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Illustratore: Leandro Seva

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“CHIK-CHA’NK”
Sono sveglio.
Riconoscerei il rumore del rientro in posizione della canna della mia pistola Sig-Sauer P226 tra mille, soprattutto per quel lieve suono metallico dovuto ad un difetto di fabbricazione che un volta mi ha salvato la vita.
Qualcuno sta parlando, ma la voce è pastosa, biascicante… incomprensibile. Non riesco ad aprire gli occhi, avverto solo un vago bagliore indistinto, mentre alcune ombre si alternano sul mio campo visivo. Mi sembra come se stessi galleggiando, forse sono morto, oppure sto ancora sognando.
<<…Phil…>>
In mezzo a quel vociare confuso, qualcuno pronuncia il mio nome. Sì, lo riconosco, Phil è il mio nome. Ora ricordo: il mini-market, lo scontro con i putridi, la nostra fuga, la mensa. Non so perché ma nei miei sogni non ho mai chiarezza di quanto avviene nella realtà, quindi devo essere morto.
Avverto qualcosa di freddo premere contro la mia tempia, poi una voce vagamente familiare risuona improvvisamente più nitida.
<<…fanculo! Io dico di fargli saltare le cervella!>>
Avrei preferito essere morto piuttosto che dover ascoltare ancora una volta la fastidiosa voce di Ned. Ogni sua parola riesce a farmi venire l’orticaria.
<<No, aspetta! Non vedi che respira ancora!>>
Questa deve essere Wanda, il suo tono petulante è inconfondibile.
<<Allora tagliamogli il braccio>>
Se non fosse stato per il sibilo morbido di una katana che viene sfoderata, probabilmente non avrei riconosciuto la voce di Amy. Quella ragazza non parla mai.
<<Non servirà a un cazzo! Questo stronzo ha passato tutta la notte ad agitarsi nel sonno. Se è stato morso, l’infezione gli sarà arrivata fino ai coglioni. Facciamogli un bel buco in testa e togliamoci il pensiero>> Il tono di Ned non mi piace affatto.
<<Ma lui è l’unico capace di usare una pistola>> Quello di Wanda è decisamente migliore… soprattutto perché credo che stiano proprio parlando di me.
<<Ma cos’hai in quella testolina foderata di capelli biondi, la segatura?!>> Ned sembra iniziare a spazientirsi <<Cosa credi che ci faccia con “questa” in mano?>>
<<Ora basta litigare!>> La voce di Amy sopraggiunge zittendo tutti <<Ho sentito dei rumori all’esterno. Lo porteremo con noi… finché respira>>
<<Ma, sarà pesantissimo!>> Wanda non sembra contenta della decisione <<come faremo a trasp…>>
<<Scordatevelo!!!>> dal tono, direi che ora Ned si è veramente incazzato <<Io quel fottuto sbirro non lo porto con me neanche morto! Preferisco ficcarmi la motosega della biondina su per il culo!>>
Le loro voci iniziano a sovrapporsi in una cacofonia fatta di imprecazioni ed insulti di ogni genere. I suoni sembrano vicini ed allo stesso tempo molto distanti. Vorrei muovermi, ma non sento né braccia né gambe, avverto solo una strana sensazione… come se avessi… fame… molta fame. Mi sembra trascorso un secolo dall’ultima volta che ho mangiato, tanto che il mio stomaco inizia a contorcersi per avere qualcosa da digerire. Voglio alzarmi… ma… niente. Non ho forze ed i miei occhi continuano a fare i capricci. Le ombre davanti a me si allargano sempre di più… una stanchezza improvvisa mi assale fino a che l’oscurità avvolge ogni cosa e ritorna il più totale silenzio.

[…]

<<Giuro!>> Dico con voce ferma.
<<GIU-RO!>> Mi ripete il coro tonante ed unisono di centonovantasei cadetti, tutti rivolti verso di me.
Poi… il silenzio.
Gli ufficiali dell’accademia mi avevano parlato di questo istante e tutti loro lo avevano fatto con timore e profondo rispetto. Dicevano che durante questa breve pausa sarei stato investito da un’onda di emozioni incontrollabili ed ogni mia più recondita debolezza sarebbe stata facile preda del panico: gambe tremolanti, voci strozzate, tachicardia e cali di pressione. Molti dei miei predecessori sono caduti vittima di questo mostro silenzioso sullo stesso palco dove ora mi trovo.
Ma non io. Il mio silenzio è voluto.
Fisso per un istante i centonovantasei cadetti disposti sul prato in quattordici file da quattordici membri, ognuno perfettamente equidistante dagli altri compagni e mi accorgo che tutti loro mi restituiscono lo stesso sguardo fiero ed impenetrabile che immagino sia scolpito sul mio volto. Centonovantasei uniformi da cerimonia con abbottonature dorate perfettamente tirate a lucido. Centonovantasei immacolati berretti bianchi sul cui frontale spicca lo scintillante distintivo della polizia. Centonovantasei nuovi tutori della legge.
Li squadro ancora per un istante, ignorando completamente le oltre tremila persone, tra spettatori e giornalisti, che ci circondano. Non mi curo neanche degli ufficiali e delle alte cariche dello stato disposte in piedi accanto a me sul palco. Tutti stanno attendendo solo una mia parola, ma oggi sono io il “primo cadetto” e questo breve silenzio è solo mio.
Chiudo gli occhi, ispiro lentamente, li riapro. Sì, sono pronto.
<<Giuro!>> Ripeto con ancor più vigore in una quiete quasi surreale.
Un istante dopo, un fragore improvviso invade l’aria.
<<…DI ESSERE FEDELE SEMPRE AL CORPO DI POLIZIA E ALLA PATRIA…>> Il frastuono perfettamente coordinato delle centonovantasei voci riesce a far vibrare il palco. Ascolto quella prima frase senza dir nulla, come per caricarmi dello stesso impeto.
<<…DI OSSERVARE LA COSTITUZIONE E LE LEGGI DI CUI E’ COMPOSTA…>> Mi unisco a loro coro scandendo ogni parola con il medesimo ritmo dei miei compagni.
<<…DI ADEMPIERE CON DISCIPLINA ED ONORE A TUTTI I MIEI DOVERI…>>
Fisso il cielo terso con l’impressione di volare sorretto dal suono di quelle voci imperiose.
<<… E DI PROTEGGERE E SERVIRE LA PATRIA E TUTTA LA SUA POPOLAZIONE…>>
Finché non arriva il momento della frase finale.
<<…QUAND’ANCHE QUESTO RICHIEDESSE LA MIA STESSA VITA>>
L’ultima parola del giuramento riecheggia per qualche istante, poi ritorna il silenzio. Il mio sguardo vaga per un attimo tra gli astanti. Nessuno di loro sembra respirare. Torno sui miei compagni.
<<Cadetti!>> Grido con fervore imponendo un “attenti” che provoca lo schiocco perfettamente sincronizzato dei loro tacchi. La mia prossima frase sarà l’ultimo comando che darò come “primo cadetto” e per un istante provo un po’ di nostalgia <<Rompete le righe!>>
Centonovantasei immacolati cappelli bianchi volano in aria tra gli applausi del pubblico… centonovantasei, ma non il mio… io sono il “primo cadetto”.
Una banda inizia la sua fanfara assieme al consueto corteo delle congratulazioni e delle strette di mano. Mi volto di lato e faccio appena in tempo a fare un passo che noto una schiera ben ordinata di alte cariche, sia statali che militari, in attesa di potersi complimentare con me.
<<Un giuramento degno di nota…>> Dice un signore con una fascia bicolore che gli attraversa il petto in diagonale.
<<Davvero toccante cadetto… davvero toccante>> Aggiunge un vecchio ufficiale con talmente tanti gradi sul petto da costringerlo a piegarsi lievemente da un lato.
<<Complimenti ragazzo, sei l’orgoglio di questa nazione…>> Prosegue il capo della polizia dandomi una vigorosa pacca sulla spalla.
Saranno una ventina gli ufficiali sul palco e ad ognuno di essi concedo il medesimo saluto militare accompagnato da una ferrea stretta di mano ed il consueto <<Sissignore, grazie signore!>>
Quando sto per scendere dal palco mi accorgo che ad aspettarmi ai piedi della breve scalinata, ci sono i miei genitori. Mio padre è immobile e statuario nella sua alta uniforme da poliziotto. Erano anni che non la tirava fuori dall’armadio e nonostante il tempo mostri gli evidenti segni sul suo volto, non posso evitare di rimanere colpito dalla fierezza con cui la indossa. Mia madre è in trepida attesa poco più indietro, con le mani serrate tra di loro e un fiume di lacrime trattenute a stento.
Avanzo verso mio padre, mi fissa. I miei occhi sono i suoi.
<<Congratulazioni figliolo>> Mi porge una mano avvolta in un guanto bianco.
<<Grazie signore>> Replico stringendogliela.
Non ci sono altre frivolezze tra di noi, non servono… non sono mai servite. Tutto questo è esattamente quello che sarei dovuto essere, nulla di più, nulla di meno.
<<Ora va da tua madre, è tutto il giorno che…>>
Faccio appena in tempo a lasciare la presa dalla mano di mio padre che la morsa di una signora di quasi cinquant’anni mi avvinghia serrandomi le braccia lungo i fianchi.
<<Oddio, il mio bambino! Ma guarda quanto sei bello in uniforme! Tesoro della mamma!! Vieni qui fatti baciare, sei stato bravissimo…>>
Lascio libero sfogo alle amorevoli manifestazioni di mia madre anche perché so che sarebbe impossibile contenerle.
<<Cara, per favore>> Dice mio padre guardandosi attorno visibilmente imbarazzato <<il ragazzo ha diciannove anni ormai, abbi un minimo di contegno>>
<<Oh, sta zitto Charles!>> Risponde lei liquidandolo con un gesto della mano <<Oggi è il giorno del mio piccolo campione e dobbiamo festeggiarlo come si deve!>>
<<Ehi Phil…>>
A distrarmi dall’euforia indomita di mia madre è la voce di Chuck. Non è mai stato un tipo troppo abile in accademia, ma si è sempre rivelato un buon amico su cui fare affidamento nei momenti difficili… e questo è proprio uno di quei momenti.
<<Scusa mamma, mi stanno chiamando>> Dico cercando di allentare la presa
<<Oh sì tesoro… va pure dai tuoi amici>> Mi sorride con ancora le lacrime agli occhi.
<<Ci vediamo dopo>> Le dico cercando di rincuorarla.
Mi concede un altro sorriso, anche se il suo volto tradisce il dispiacere di avermi lasciato andare, poi si volta verso mio padre, commentando il suo sguardo stizzito con un secco <<Oh, piantala Charles!>>
Raggiungo Chuck mentre è intento a parlare con una ragazza dai lunghi capelli rossi che vedo solo di spalle.
<<Allora “primo cadetto”, che fai questa sera?>> Sto per declinare l’ennesimo invito poco velato di Chuck di far baldoria, quando la mia attenzione viene completamente rapita dalla ragazza davanti a lui, che si volta lentamente verso di me. I suoi occhi risplendono di una tonalità verde che a fatica riesco a definire, mentre i capelli le ricadono sulle spalle come un fiume di seta rossastra dello stesso colore delle foglie d’autunno. Un accenno di lentiggini punteggia le sue gote che arrossano immediatamente non appena indugio troppo a lungo il mio sguardo su di lei.
<<Ah sì… lei è Margaret, la mia sorellina. E’ venuta con i miei genitori da…>> Chuck prosegue a parlare, ma io non lo sto più ascoltando. Margaret… è l’unica parola che riesco a comprendere. Continuo a fissarla. La vedo portare una ciocca di capelli dietro l’orecchio guardando per un attimo verso il basso con fare imbarazzato. Poi mi sorride ed improvvisamente il mondo non potrebbe essere più bello.
<<Piacere…>> mi dice con una voce talmente delicata da farmi venire un tonfo al cuore. Sono pietrificato.
Ho da poco sostenuto senza battere ciglio il “Giuramento alla Patria” davanti a tremila persone e alle più alte cariche dello stato. Primo del mio corso in accademia, eccelso  in ogni prova, sia fisica che psicoattitudinale. Uno dei migliori “primi cadetti” di sempre… eppure, davanti a questa giovane ragazza che avrà al massimo qualche anno meno di me, non riesco a muovere un muscolo, né a dire una parola.
<<Sì… e lui è Phil>> Chuck mi da una pacca sulla spalla <<ed anche se ora sembra aver perso la lingua, ti assicuro che è un gran chiacchierone… soprattutto quando si tratta di dare ordini>>

[…]

Mi sento sballottare come se fossi nel bagagliaio di una macchina che sfreccia a tutta velocità su di una strada sterrata, anche se in realtà capisco che stiamo correndo… o meglio, lo sta facendo chi mi sta trasportando. A peggiorare la situazione è una pressione continua allo stomaco che sembra volermi costringere a sputare anche l’anima. Per carità, vomitare sarebbe già un passo avanti, considerando la mia totale incapacità di movimento e queste dannate  immagini ancora tutte offuscate.
<<Giuro su Dio che se parlate di questo con qualcuno, io vi…>>
<<Abbiamo capito Ned>> Sento la voce di Amy stranamente affannata <<ora muoviamoci!>>
<<Forse dovremmo trovare un bar o un locale, lì dentro potrebbero avere un kit di pronto soccorso con cui curare Phil>> Il rapido rullio alternato dei pattini di Wanda mi fa capire che ci stiamo muovendo con una certa celerità <<nel ristorante dove lavoravo, ne avevamo uno vicino allo sgabuzzino, proprio dove una volta, io e il mio fidanzato…>>
<<Ok, va bene! Abbiamo capito>> interviene Amy bloccando sul nascere lo sproloquio di Wanda <<Mi sembra di aver visto una tavola calda mentre risalivamo la statale. Se non è troppo intasata dai deambulanti, direi di cercare lì dentro… sempre che non abbiate altre idee>>
<<Basta che ci sbrighiamo!>> Il tono di Ned si fa sempre più spazientito <<questo sbirro del cazzo inizia a pesare… e a puzzare di putrido>> avverto uno scossone, subito prima di un doloroso tonfo allo stomaco <<E badate bene squinzie, che se questo stronzo mi morde le chiappe, prima gli sparo in testa, poi ve la faccio pagare… a tutt’e due!>>
<<Forse non dovresti portarlo sulle spalle come un sacco di patate>> Il suggerimento di Wanda causa l’immediato arresto del mio portantino.
<<Ah davvero?>> Il suo tono sarcastico non promette niente di buono <<che ne dici se lo sbatto per terra e lo tiro per i coglioni?!>> Appunto.
Torniamo a muoverci e questa volta nessuno apre bocca.
Ogni passo di Ned è per me come un pugno allo stomaco, e dal modo dinoccolato che ha di procedere, non sembra proprio aver intenzione di curarsi del suo bagaglio.
<<Fermi!>> Basta una sola parola di Amy per immobilizzarci. Una pausa che mi da qualche istante per riprendermi dalla nausea. <<Quella con l’insegna rossa, la vedete? É la tavola calda di cui vi parlavo. Ma dobbiamo fare silenzio, ci sono un po’ di deambulanti nelle vicinanze>>
<<Un po’ di deambulanti!? Porcammerda! Ti sei spalmata il cerone anche negli occhi, ragazzina? C’è carne-morta che cammina dappertutto!  Saranno almeno in venti lì dentro, mentre noi siamo solo tre, senza contare il carico di letame che ci portiamo appresso!>> L’osservazione di Ned genera un silenzio riflessivo. La situazione non sembra promettente.
<<Aspettate! E se provassi a distrarli mentre voi entrate?>> La proposta di Wanda mi coglie decisamente di sorpresa.
<<Bella idea, biondina! Per la prima volta non hai fatto uscire una valanga di puttanate da quella boccuccia di rosa>>
<<Maleducato!>> dal tono stizzito, direi che Wanda non ha affatto gradito il complimento di Ned.
<<Volete piantarla!>> Amy accorre per frenare il battibecco <<Va bene Wanda, cerca di farne uscire il più possibile, poi allontanali dal locale. Noi penseremo ad eliminare i restanti>>
<<Faccio in un lampo>> La risposta di Wanda è immediata, seguita dal rumore di pattini che si allontanano sfregando sull’asfalto.
<<Cinque a uno che la biondina si farà ammazzare>> E’ incredibile come Ned riesca a trovare sempre nuovi modi per essere irritante <<vuoi scommettere, ragazzina?>>
<<Falla finita Ned!>> dal sibilo glaciale, direi proprio che Amy è della mia stessa opinione <<Dobbiamo avvicinarci a quel cassonetto senza far troppo rumore, quindi vedi di chiudere il becco!>>
<<Ma che caz… per te è facile a dirsi!>> Il movimento di Ned per caricarmi sulle spalle è tutt’altro che delicato <<Non hai ottanta chili di sbirro merdoso da portarti dietro>> e quando riprendiamo a muoverci ritorna anche quel fastidioso senso di nausea.
Passano solo pochi istanti, quindi ci fermiamo nuovamente. Faccio appena in tempo a rifiatare che in lontananza avverto il borbottio scoppiettante di una motosega accesa e, subito dopo, il fragore di una vetrata che va in frantumi.
<<Cazzo, quanti ne sono…>> Il commento di Ned è inequivocabile.
Nonostante il vociare indecifrabile sia distante, non mi è difficile da associare ad una piccola marmaglia di putridi che fortunatamente sembra allontanarsi da noi.
<<Sta zitto!>> Il rimprovero di Amy tronca le parole dello psicotico evitando che siano deleterie <<ora ascoltami bene… quando te lo dico, muoviti in fretta e rimani dietro di me… pronto?… ORA!>>
Sento il rumore di rapidi passi che si allontanano. Ned scatta dopo qualche istante nella stessa direzione, procurandomi un contraccolpo allo stomaco che mi toglie l’aria. Vorrei imprecargli contro le peggiori oscenità per il dolore lancinante che avverto ad ogni suo movimento, ma il mio corpo ancora me lo impedisce. Quando rallentiamo, non faccio in tempo a tirare il fiato che l’odore nauseante di carne-morta mi invade le narici, poco prima di sentire i versi sguaiati di svariate creature non morte.
<<Da quella parte, ragazzina!>> L’avvertimento di Ned precede di qualche istante il suono sibilante di un unico fendente, poi sento una sequenza ancor più rapida. Vengo sbattuto a terra come una sacco di immondizia, dopodiché, il tuono familiare di due colpi di pistola zittiscono ogni altro rumore.
<<Ma che ti dice il cervello, Ned!?>> Amy sembra davvero contrariata <<avevamo detto di fare silenzio!>>
<<Non c’è di che, ragazzina>> Il sarcasmo di Ned non promette mai niente di buono <<non so se hai notato, ma ti ho appena salvato le chiappe!>>
<<Era tutto sotto controllo…>>
<<Sì, come no>>
<<Li avrei sistemati senza problemi…>>
<<Ne sono convinto. Soprattutto quelli che stavano per masticarti il cranio>>
<<Ora piantala, Ned!>> Nonostante la giovane età, Amy sa esattamente come porre fine ad una discussione <<e vedi di aiutarmi a trovare quella cassetta di pronto soccorso di cui parlava Wanda, prima che ne arrivino degli altri>>
Nonostante sia quasi del tutto stordito e con il pavimento freddo che mi preme contro la guancia, inizio a sentire rumori confusionari, come se qualcuno stesse rovistando animatamente in mezzo ad oggetti di ogni genere, gettando a terra qualsiasi cosa non gli interessi.
<<Trovato!>> Per la prima volta, la voce di Amy sembra contenere un accenno di soddisfazione. Ma l’effetto dura ben poco <<Ned, che cavolo stai facendo dietro al bancone?>> Chiede ritornando al suo solito tono infastidito <<Mi spieghi come diamine speravi di trovare bende e acqua ossigenata tra bottiglie di whiskey e scotch?!>>
<<E chi ti dice che stia cercando quella robaccia?>>
<<Allora cosa fai lì dietro? Non mi sembra proprio il momento per farsi un goccio>>
<<Mia cara ragazzina… se c’è una cosa che dovresti sapere sulle tavole calde è che  sono sempre frequentate da bifolchi e piantagrane>>
<<Ma non mi dire…>>
<<E sai qual è l’unico modo per sistemare bifolchi e piantagrane?>>
Sento di risposta il suono morbido della katana di Amy che viene sfoderata.
<<Sì certo, se sei un cazzo di maestro samurai… altrimenti…>> sento Ned emettere alcuni mugugni, come se fosse sotto sforzo <<ah, bingo!>>
“CH-CH”
Il rumore metallico di un fucile che viene caricato mi riporta istintivamente ai ricordi del poligono di tiro in accademia.
<<Non esiste barista che non abbia un fottuto “schiatta-stronzi” nascosto sotto al bancone!>> Il tono compiaciuto di Ned non mi piace affatto. Sapere quello psicopatico con la mia pistola mi preoccupava, ma ora che ha un’arma da fuoco ancora più letale, la situazione è drasticamente peggiorata.
Sento improvvisamente una stanchezza insostenibile. Mentre la testa inizia a pulsare violentemente, tutte le ombre si agitano in un lento movimento vorticoso. Dannazione, ci risiamo.
<<Ragazzi! Abbiamo un piccolo problema>> La voce di Wanda mi coglie di sorpresa, concedendomi ancora qualche barlume di lucidità.
<<Cristo santo biondina! Mi hai fatto prendere un colpo, stavo quasi per riempirti di piombo>> Interviene Ned furente.
<<Che succede?>> Amy invece sembra perplessa.
<<Putridi… stanno arrivando>> Risponde l’altra.
<<Sticazzi! Fammi trovare la scatola con i proiettili e vedi come li combino quei figli di….>> La voce di Ned si perde tra lo sferragliare di parecchi oggetti metallici riversati a terra <<…ma dove caz…>>
<<Non credo che questi siano i soliti “putridi”>> Nonostante le forze mi stiano abbandonando, la preoccupazione nelle parole di Wanda è fin troppo palese.
<<Che vuoi dire Wanda?>> Chiede Amy perentoria <<Dannazione spiegati!>>
<<Vorrei, ma non ne ho mai visti prima di simili… questi… corrono…>>
Cerco di rimanere cosciente per capire ulteriori dettagli, ma il mio mondo, fatto di ombre e voci lontane, torna nell’oblio e nel silenzio più totale.

[…]

La sveglia suona come al solito alle 07:00 e come al solito, la spengo dopo il secondo trillo. Mi alzo lentamente dal letto per evitare di svegliare Margaret, anche se so che lei è sveglia tanto quanto me. Doccia in sette minuti… rasato e improfumato in altri dieci. Indosso l’uniforme di ordinanza e alle 07:21 scendo al piano di sotto dove l’inebriante aroma di uova strapazzate e bacon croccante, risvegliano i rumori famelici del mio stomaco.
Arrivato in cucina, la vedo  davanti ai fornelli, con una vestaglia di flanella ed un paio di pantofole dei Puffi, mentre fischietta una simpatica canzoncina dei cartoni animati.
I rossi capelli arruffati sono raccolti dietro le spalle in una coda che a stento sembra contenere la loro furia.
<<Non dovevi cara, potevi rimanere a letto>> Le dico sistemandomi il cinturone attorno alla vita.
<<Dopo dieci anni di matrimonio, non ti sei stancato di ripetermi sempre la stessa frase al mattino?>> Sorride… ed io mi lascio percuotere dal tonfo al cuore che quel sorriso mi causa ogni volta.
In pochi minuti la tavola è imbandita con due tazze di caffè, due piatti di pancetta fumante circondata da uova strapazzate e… una tazza di latte.
<<E questa?>> Giro il manico della tazza sorpreso di vedere l’immagine con l’effige di Hello Kitty <<mi sembra un po’ presto per…>>
“SDOM-SDOM-SDOM-SDOM…”
<<Lucy, non correre per le scale!>> Il rimprovero di Margaret giunge quando ormai i piccoli passi scalzi sono in prossimità della cucina, dove un’incantevole bambina di appena sei anni si affaccia con un cespuglio ingarbugliato di rossi capelli ricci in testa ed un sorriso di felicità incontenibile dipinto sul volto.
<<Guarda papà!!!>>
Dice mostrandomi la punta della lingua che si insinua in una finestrella tra i piccoli denti bianchi.
<<E tu che ci fai già in piedi? >> Le chiedo con sorpresa <<oggi è domenica>>
<<Ieri notte… è venuta la fatina dei denti… e mi ha dato questa!!>>
Mi mostra una luccicante moneta d’argento stretta tra le mani.
<<WOW… ma è fantastica!>>
Prendo la piccola in braccio e la metto a sedere sulle mie ginocchia,  ispezionando accuratamente con lei i dettagli di quel prezioso tesoro luccicante.
<<Sì, va bene la fatina, ma non si era detto di non girare più scalzi per casa?>> Margaret poggia una scatola di cereali Cirios vicino alla tazza di latte lanciandole una fugace occhiata di rimprovero <<e di non correre!>>
<<Scusa mamma…>> Risponde la piccola con un broncio esagerato.
Margaret trattiene a stento un sorriso ed io non posso fare a meno di fare lo stesso.
<<Brava tesoro>> Cerco di rasserenarla sistemandola sulla sedia  davanti alla tazza di latte <<ora facciamo colazione tutti insieme>>
Passano solo pochi istanti di silenzio colmo di penitenza, poi… la porta d’ingresso si apre di scatto facendo sobbalzare Lucy insieme al cucchiaio di cereali che ha in mano.
<<Oh no… >> Margaret guarda nella mia direzione preoccupata.
<<Cavolo, oggi si è svegliato presto>> le rispondo sorridendo, anche se dall’espressione, direi che mia moglie non ha alcuna intenzione di fare dello spirito, soprattutto quando dall’ingresso giunge un’esagerata voce gutturale.
<<É arrivato il mostro delle paludi… AAARGH!!>>
Gli occhi di Lucy si spalancano sorpresi.
<<Zio Chuck!!>> grida scappando via.
<<Lucy non corr…>> Margaret ferma appena in tempo la traballante tazza di latte prima che possa cadere a terra. Poi, con espressione sconsolata ed alcuni tovaglioli, pulisce il liquido strabordato.
Un uomo ben piazzato, vestito con la mia stessa uniforme, entra in cucina a passo lento, tenendo mia figlia avvinghiata dietro al collo a mo’ di zaino e facendola oscillare da una parte all’altra. Le risate di Lucy riempiono la stanza di una gioia contagiosa che non ho alcuna intenzione di contrastare. Anche mia moglie non può fare a meno di sorridere, fino a quando  compie l’errore di guardare l’orologio.
<<Oh caspita! Sette e trentacinque… Siete in ritardo ragazzi>> Margaret afferra la bambina per i fianchi e la fa scendere <<Avanti tesoro, adesso papà e lo zio Chuck devono andare a catturare i cattivi>>
Lucy mette il broncio, ma giusto il tempo di intravedere un mio fugace occhiolino.
<<Se fai la brava, stasera leggiamo Harry Potter>> Le sussurro all’orecchio fingendo di non volermi far sentire. La sua tristezza si trasforma in un fiume di felicità. Lascio che mi avvolga il collo con le sue tenere braccia. Le do un bacio sulla guancia e le scompiglio i capelli ricci.
<<Ora va a cambiarti tesoro>> Le dice Margaret invitandola a salire le scale. Lucy scappa via salutandoci animatamente.
<<Ciao papà… ciao zio Chuck>> Ci grida ancora pervasa dall’estasi per il premio della sera. Margaret vorrebbe ricordarle di non correre, ma quando fa  per prendere fiato, la piccola è già al piano di sopra.
<<Ciao peste…>> Urla Chuck divertito.
“Ciao tesoro”… vorrei dirle, ma lei non c’è più, quindi lascio che quel pensiero sia soltanto mio.
Indosso il cappello e mi sistemo il giaccone. E’ ora di andare, ma prima bisogna  fare le dovute raccomandazioni.
<<Margaret, conosci la prassi>> Il mio tono ora è serio <<chiudi porte e finestre, non aprire a nessuno che non…>>
<<Per quanto ancora andrà avanti questa storia Phil?>> mi chiede sconsolata <<Sono tre mesi che Lucy non esce quasi più da casa, se non per andare a scuola. Ha bisogno di giocare, di stare con i suoi amici…>>
<<Lo so Margaret, ma dobbiamo resistere ancora un po’>> cerco di essere più convincente che posso, anche se so che fingere con mia moglie è un’impresa inutile.
<<Tutte queste voci che girano in TV e su internet… su questo virus… persone che mangiano altre persone…  Cosa devo pensare, sono vere?>>
Margaret mi guarda sperando che possa tranquillizzarla.
<<Non ti preoccupare, andrà tutto bene>> è l’unica cosa che riesco a dirle <<ora dobbiamo andare… Mi raccomando>>
<<Va bene, ma anche voi, fate attenzione là fuori>> Mi risponde mentre ci abbracciamo, entrambi consapevoli di non aver rassicurato l’altro. Le do un bacio-a-stampo sulle labbra, poi esco.
Fuori dal portone di casa, sento alle mie spalle chiudere a chiave dall’interno a doppia mandata. Chuck mi rassicura con un’energica pacca sulla spalla, prima di montare in macchina al posto di guida.
Le strade sono semi-deserte, i pochi che si aggirano lo fanno in gruppo e con molta preoccupazione. Le auto sembrano avere tutte una gran fretta, tanto da non curarsi molto dei limiti di velocità. Un uomo sta pulendo dal marciapiede i resti di quella che con molta probabilità era la vetrina del suo negozio con una scopa. Vedo sul suo viso la rassegnazione di chi sa che sarà arduo trovare il modo di riparare al danno, ma soprattutto, impossibile evitare che accada ancora.
<<Ehi Phil, hai sentito di Moose? Che fine orrenda>>
Chuck gira il volante ed imbocca la statale sedici lanciando uno sguardo ad un negozio di liquori andato in fiamme.
<<Purtroppo questi sono i rischi del mestiere…>>
<<Rischi del mestiere?>> mi sorride con un tono drammaticamente sarcastico <<prendersi una coltellata da un tossico, o se proprio dice male, beccarsi una pallottola durante una retata… questi sono i rischi che avevo messo in conto, non farsi divorare lo stomaco da un barbone>> poi scuote la testa svoltando sulla strada che porta alla stazione di polizia.
L’auto si infila in un parcheggio tra altre due volanti, entrambe mal ridotte. All’interno del salone principale della stazione c’è il solito fermento di sempre, un’agitazione che però negli ultimi mesi sembra essere stata  viziata dalla paura di qualcosa di ignoto.
<<Siete in ritardo!>> Ci urla contro il capitano LeBlanc passandoci davanti con passo svelto, ma senza degnarci di uno sguardo. Nonostante la statura minuta, quel piccolo ometto dall’aspetto inquieto e l’espressione del volto perennemente aggrottata, ha sempre saputo come farsi rispettare.
<<Ci scusi signore, c’era traffico per strada>> Rifilo una gomitata al fianco di Chuck per la battuta fuori luogo, ma quando il capitano si ferma e si volta di scatto, capisco dai suoi occhi tremendamente accusatori che ormai il danno è fatto.
<<Credete di essere simpatici?>> Ci chiede con fare retorico.
<<Nossignore!>> Mi affretto a rispondere <<Ci scusi signore, noi…>>
<<“Noi” un cazzo, agenti!>> Il capitano si incammina nella nostra direzione, molto lentamente <<questa notte ho perso un altro agente>> dice con voce ferma <<quarantasette persone sono morte nell’ultima settimana>> il tono aumenta man mano che avanza <<più di dodici casi di “zeta-uno” sono stati confermati nell’ultimo mese>> si ferma solo quando è a meno di un metro da noi <<questa città è immersa nella merda fino al collo… e voi fate i comici?>> L’ultima frase è pronunciata con un tono talmente imperioso da attirare l’attenzione di tutti. Un silenzio irreale invade il grande atrio, disturbato solo dal trillo continuo dei telefoni. Non dico nulla, perché non c’è nulla da dire. Rimango immobile in attesa che il capitano si ritenga soddisfatto del cazziatone. Lancio una rapida occhiata furente al mio compagno, assicurandomi che non emetta un solo sospiro.
<<Nel mio ufficio>> Conclude LeBlanc voltandosi di spalle. La frenesia nella centrale riprende dopo pochi istanti.
L’ufficio del capitano è al piano di sopra ed è in completo disordine. Pile di fascicoli sono accatastati sulla scrivania, sulle sedie ed alcune perfino a terra. Una pistola senza caricatore spunta da sotto alcune fotografie di scene del crimine che purtroppo abbiamo imparato a conoscere bene. Una tazza di caffè ormai freddo è poggiata vicino ad un computer che emette un sinistro rumore metallico dalla ventola mentre, vicino alla tastiera, un posacenere stracolmo di mozziconi di sigaretta inonda la stanza di un fastidioso odore di cenere.
<<Sedetevi>> Dice il capitano indicandoci delle sedie con sopra parecchi fogli di carta.
<<Stiamo bene anche in piedi, signore>> Rispondo con fermezza. Chuck sbuffa ma non dice nulla di inopportuno. Il capitano si abbandona sulla sedia girevole dietro la scrivania, quindi ruota verso la finestra che dà sulla strada principale. <<Questa città sta cadendo a pezzi, ragazzi>>
Prende la tazza e ne svuota il contenuto dentro il cestino dell’immondizia. Dall’interno di un cassetto estrae una bottiglia il cui contenuto risplende di un vivace liquido ambrato e ne riversa un bel po’ nella tazza.
<<Vi fate un goccio?>> Ci chiede come se fossimo in un comune bar.
<<Nossignore, grazie signore>> Replico prima che Chuck possa cedere alla tentazione.
<<Bravi ragazzi… ecco perché siete i miei agenti migliori>> Il capitano butta giù il drink tutto d’un sorso, fa un sospiro stizzito, quindi se ne versa ancora <<Ed è solo grazie ad agenti come voi che non è andato ancora tutto in malora, quindi vedete di non fare altre cazzate>> ruota la sedia tornando a guardarci <<La situazione sta peggiorando sempre di più. Ci sono centinaia di pazienti che ogni giorno negli ospedali vengono confinati in quarantena anche solo per un semplice raffreddore. Le persone non si fidano neanche più dei loro parenti, le strade sono invase da sciacalli che non aspettavano altro per approfittarsi della povera gente. Noi siamo l’ultima sottile barriera che divide la civiltà dall’anarchia… se cade la polizia… cade tutto>> Il capitano fa un altro sorso <<mi capite, vero?>>
<<Sissignore… certo signore>> Rispondo, questa volta con un po’ di titubanza <<ma se mi è permesso chiedere… possiamo sapere qualcosa di più su questo virus “zeta-uno”>>
<<Vorrei saperla anch’io, porca troia>> Replica LeBlanc scuotendo la testa <<quei cervelloni del comando centrale non dicono un cazzo. Questo è tutto quello che ci hanno dato>>
Tira fuori da un cassetto un plico con un evidente timbro rosso “TOP SECRET”.
<<Protocollo per la soppressione dei soggetti affetti da “zeta-uno”. Trentasette pagine di inutili chiacchiere che si riassumono in poche, semplici parole: se sono stati morsi, spappolategli la testa o dategli fuoco>>
<<Quindi signore, cosa dovremmo fare… intendo dire, adesso?>> Chiede Chuck sempre pronto ad andare al sodo. Il capitano guarda per un attimo la sua tazza vuota con un certo disappunto, poi alza gli occhi verso di noi.
<<Quello che abbiamo sempre fatto… proteggere e servire>>

[…]

“SBAAAM… CH-CH… SBAAAM… CH-CH… SBAAAM”
Tre colpi di fucile mi riportano tra le ombre opache.
<<Sì, respira ancora>> Sento la voce di Amy molto vicina, ma non riesco a vederla… non riesco a vedere nulla, solo ombre.
<<Per fortuna>> Commenta Wanda poco distante.
<<Che sfiga!>> L’urlo di Ned invece  arriva da lontano, poco prima del rombo di altri due colpi che sovrastano ogni altro rumore <<Vedi di fare in fretta, ragazzina, perché questi figli di puttana sono dannatamente veloci. Cinque colpi per abbatterne solo due e ne stanno arrivando degli altri>>
<<Non mettermi fretta Ned>> Replica Amy spazientita <<mi ci vorranno dieci minuti… almeno>>
<<Cavolo Amy, sei proprio brava… dove hai imparato a medicare le persone in quel modo? Non ti fa impressione pulire le ferite, ricucire…>> Sento le parole di Wanda scorrere come un fiume in piena e non mi è difficile decifrare il silenzio di Amy in uno sforzo mentale per non esplodere di rabbia.
<<Scusate se mi intrometto nelle vostre discussioni da Gray’s Anatomy, ma non abbiamo dieci minuti>> Il tono sarcastico di Ned non lascia presagire mai nulla di buono <<tra dieci fottuti minuti saremo tutti carne morta>>
<<Wanda, tieni premuto qui>> Sento dire da Amy prima che i suoi passi si allontanino da me <<e tu Ned, cerca di tenerli a bada, io torno subito>>
<<Ma che significa “torno subito”? Dove cazzo te ne vai?>> Chiede lui esterrefatto mentre sento una porta chiudersi con uno schianto secco <<Ehi! Ragazzina! Riporta subito qui dentro la tua dannatissima spada samurai!>>
<<Attento Ned, da quella parte!>> Grida Wanda, prima che altri due colpi di fucile rimbombino nel locale.
<<Fanculo!>> Commenta acido Ned <<Questi figli di puttana sono ovunque. Ce ne dobbiamo andare>>
<<Ma Amy ha detto di…>>
<<Me ne sbatto di cosa ha detto quella ragazzina!>> sento Ned ricaricare frettolosamente il fucile <<le ultime persone che ho sentito dire “torno subito” con quel tono, sono stati i miei genitori prima di uscire di casa per andare a comprare le sigarette. Sono più di trent’anni che aspetto quei fottuti bastardi, quindi se ancora non l’hai capito, la tua amica  se l’è data a gambe>>
<<Ma… ma no… lei è… e poi con Phil che facciamo? Io non so cosa…>>
<<Stammi a sentire biondina>> La voce di Ned si fa incredibilmente più seria <<abbiamo fatto tutto il possibile per questo fottuto sbirro, ma li vedi quegli insaccati di merda che stanno correndo verso di noi? Bhé, quegli stronzi del cazzo ci faranno il culo se rimaniamo qui o se ci portiamo dietro questo peso morto. Quindi, ora prendi la tua bella motosega e leviamo le tende. Subito!>>
Il silenzio di Wanda dopo le parole di Ned non mi fa ben sperare, anche se per la prima volta in vita mia, devo ammettere di essere d’accordo con lui. Lasciarmi qui è la soluzione più giusta, io sono solo un peso, un peso che li condurrà alla morte.
Vorrei poter dir loro di andare senza di me, di lasciarmi qui, di pensare a salvarsi. Ma non ho fiato per parlare e quelle poche forze che mi restano, le sento scivolare via come prima di un lungo sonno. Non posso far altro che attendere… attendere di riposare, finalmente.
Sento i pattini di Wanda scorrere lentamente sul pavimento in legno mentre si allontanano. E’ giusto così, non ho nulla da obiettare. Poi il frastuono di bottiglie di vetro che vanno in frantumi mi ridesta per un istante.
<<Che stai facendo?>> Chiede Wanda perplessa
<<Ho sentito dire che quei cosi hanno timore del fuoco… quindi direi di accendere un bel falò per pararci il culo>> Risponde Ned tra i suoni di vetri rotti ed un forte odore di superalcolici <<poi usciremo dalla porta sul retro, proprio da dove se l’è svignata la tua amichetta del cazzo>>
<<Amy non è scappata!>> Risponde Wanda infastidita <<tornerà!>> aggiunge senza troppa convinzione.
<<Sì, come no, se vuoi aspettarla qui fa pure, ma non ti lamentare quando quei “cosi” ti verranno a sgranocchiare  le gambette…>>
Dopo l’ennesimo colpo di fucile, un bagliore immenso invade tutto il mio opaco campo visivo. Avverto un forte calore dietro la schiena che si propaga in breve tempo tutt’intorno. Il crepitio di legna ardente confonde la discussione che ancora imperversa tra Wanda e Ned: quella ragazza non vuole proprio rassegnarsi a lasciarmi qui.
Improvvisamente, il suono continuo di un clacson tronca le parole di Ned, dal quale sento provenire un incredulo <<ma che caz…?>>
I pattini di Wanda rullano velocemente per qualche istante facendo vibrare le tavole di legno del pavimento <<Che ti avevo detto!>> Grida la ragazza con un tono esultante.
<<E quella, dove diavolo l’hai presa?>> Ned invece sembra decisamente sorpreso.
<<Ah, che importa!>> Wanda è totalmente euforica <<prendi Phil e andiamocene subito via da qui!>>
<<Oddio, che strazio!>> Sento Ned avvicinarsi e caricarmi nuovamente sulle sue spalle con i soliti brontolii borbottanti. Un urlo stridulo mi sorprende a poca distanza, ma dura giusto il tempo di un colpo di fucile seguito dal solito “fanculo” acido di Ned.
Il caldo diventa insopportabile, l’aria impossibile da respirare. Ogni sensazione inizia a sbiadire, tanto da farmi perdere perfino il senso di nausea. I suoni si mescolano tra loro creando un guazzabuglio indistinguibile… poi tutto si affievolisce, fino a perdersi nell’oscurità e nell’ennesimo silenzio.

[…]

Quando apro gli occhi la sveglia segna le 05:03… mi sembra di non aver dormito neanche un istante. Impreco sommessamente per averla lasciata suonare per tre minuti senza aver sentito nulla. Mi giro di fianco e noto il lato destro del mio letto vuoto. Scuoto la testa, poi mi alzo.
Mi do una rapida lavata con  acqua fredda a viso e braccia, lascio la barba incolta. Non è mercoledì, non mi sembra il caso di sprecare lamette.
Indosso frettolosamente la divisa che ormai inizia ad avere un forte odore di strada, ma anche per la sua pulizia dovrò aspettare altri quindici giorni. Scendo le scale che mi portano al piano terra, circondato da un’oscurità disturbata unicamente da una luce proveniente dalla cucina. Quando sono sul limitare della porta, vedo Margaret armeggiare con un apri-scatole e un barattolo metallico la cui etichetta riporta la dicitura “Nostromo”. Dopo un paio di tentativi, riesce ad aprirla. Riversa  alcuni tranci di tonno sott’olio su di un piatto che poggia vicino ad un bicchiere con del succo d’arancia color paglierino. Ripiega con cura un piccolo tovagliolo vicino al piatto, poggiandovi sopra una forchetta. La vedo guardare quel piatto per alcuni secondi, poi un singhiozzo… tira su col naso.
<<Non dovevi>> Mi sbrigo a dirle.
Lei si accorge della mia presenza e d’improvviso si asciuga gli occhi inumiditi dalle lacrime con il dorso della mano, mostrandomi quel sorriso che, anche se vagamente forzato, riesce comunque a farmi perdere qualche battito del cuore.
<<Neanche tu dovresti fare quello che fai… eppure, eccoci qui, a prenderci cura delle cose a cui teniamo>> Dice cercando di far notare senza troppo peso il suo tono polemico.
<<Margaret… ne abbiamo già parlato>> Le rispondo con lo sconforto che mi aggroviglia lo stomaco ogni volta che la vedo così.
<<Lo so Phil… ma io… non riesco a non pensare che ogni mattina quella porzione di  tonno in scatola, potrebbe essere l’ultimo pasto che mangerai insieme a me… non voglio che tu finisca come Chuck… non lo sopporterei>> Le lacrime cominciano a scendere, ma quando cerco di afferrarla per un braccio e stringerla a me, lei mi allontana <<No Phil, non consolarmi… non è di me che ti dovresti preoccupare… ma di tua figlia. Qualche giorno fa ha compiuto sette anni e sai qual è l’unico regalo che ha chiesto? Poter cenare per una volta con suo padre… ovviamente non è stata accontentata. Ormai sono settimane che quasi non ti vede. Esci alle prime luci dell’alba… torni a notte inoltrata, spesso ubriaco… cercando di mascherare l’odore di alcool con qualche mentina>>
<<La bottiglia mi aiuta a sopportare quello che c’è là fuori>> Le rispondo con tono colpevole.
<<Lo so Phil, e anche se non lo condivido, lo accetto, solo che… non riesco a capire perché continui a fare tutto questo>>
<<Perché è questo quello che sono Margaret… un poliziotto>> le dico cercando di sembrare più sereno possibile <<questa è la mia vita e non posso…>>
<<Come fai a chiamarla vita?>> Mi interrompe parlando tra i singhiozzi <<viviamo segregati in casa da quasi un anno, con le assi alle finestre ed il terrore che ogni rumore nelle vicinanze possa essere un malvivente… un depravato… o peggio… uno di quei “mostri”!>> lascio che sfoghi la sua rabbia rimanendo immobile, come sempre <<mangiamo quelle poche cose che riesci a racimolare chissà dove, senza sapere se tornerai la sera oppure no. Questa non è vita, questa è una tortura>>
Aspetto che riprenda fiato, assicurandomi che abbia finito.
<<Lo sai Margaret, faccio tutto questo solo per difendere quelle persone che non possono difendersi da sole. Se anche io smetto di essere quello che sono… se tutti gli altri miei colleghi facessero lo stesso, tutto sarebbe perduto. Sarebbe l’anarchia, ed è allora che dovremmo iniziare ad avere paura>> Vedo sul suo volto la stanchezza di chi non ne può più di sentirsi ripetere le stesse parole, ma sono sempre quelle che mi spingono ad uscire fuori di casa ogni giorno
<<E alla tua famiglia non pensi? Non dovresti proteggere anche noi?>>
<<Lo sto facendo! Non lo vedi?>> Sono quasi esausto <<e non parlo delle travi alle finestre o della pistola che ti ho insegnato ad usare… ma della società che sto cercando tutti i giorni di mantenere a galla. Perché se io oggi esco di qua ed evito anche solo un omicidio, una rapina, una qualsiasi aggressione… domani ci sarà una persona in più che ancora crederà in questa città e nelle sue leggi>>
Non sono stato convincente, ma sapevo che nessuna parola l’avrebbe convinta a lasciarmi andare. Ormai è in lacrime ed io non posso fare niente per evitarlo.
<<Mamma… perché piangi?>> La sottile voce di Lucy ci sorprende entrambi.
<<Tesoro… cosa fai in piedi?>> commenta sbrigativa Margaret cercando di sviare la domanda. Si avvicina alla piccola asciugandosi il volto con una manica.
<<Volevo salutare papà>> Risponde Lucy ancora assonnata, stropicciandosi un occhio con la mano. Margaret la prende in braccio ed io non posso evitare di notare quanto si somiglino: stessa bocca, stesse guance, stesso viso delicato, stesso colore rossastro di capelli… però gli  occhi di Lucy sono i miei.
<<Va bene tesoro, dai un bacio a papà e poi fila a letto>> Margaret si avvicina con la piccola che mi tende le braccia. Lascio che me le avvolga attorno al collo. Chiudo gli occhi e mi inebrio del profumo dei suoi capelli riccioluti. Voglio che quel momento mi si imprima nella mente, voglio che resti mio per sempre.Quando lascia la presa, la piccola mi stampa un bacio sulla tempia, un po’ troppo vicino all’occhio. Fingo di essere rimasto cieco, poi le faccio un occhiolino e le strappo una risatina che mi ripaga di almeno cento giorni di duro servizio.
<<Ora torniamo a nanna>> Dice Margaret riprendendo la piccola tra le braccia. Fisso d’un tratto mia moglie con sguardo serio.
<<Sai quello che devi fare… chiudi tutto, tieni la pistola a portata di mano e se ci sono emergenze, chiamami al cerca-persone>> Metto il berretto e indosso il cappotto <<Mi raccomando>> concludo voltandomi verso la porta… ma prima che io possa afferrare la maniglia, qualcosa mi ferma.
<<Non andare>> Dice Margaret con un filo di voce <<solo per oggi, rimani con noi… ti prego>>
Non ha mai cercato di convincermi così a lungo, ma oggi sa che con la bambina in braccio potrei cedere… e ha ragione. Sono certo che se mi voltassi a guardarle, non andrei più via di casa. Sospiro senza girarmi, quindi apro la porta ed esco.
All’esterno, il buio della notte  non ha ancora deciso di cedere spazio alle luci dell’alba ed il freddo vento dell’inverno porta con se l’acre odore di carne bruciata proveniente dal limitare della zona di quarantena.
Salgo in macchina, assicurandomi che pistola e fucile a pompa siano funzionanti e pienamente carichi, quindi giro la chiave e metto in moto. Le strade deserte mostrano le cicatrici lasciate dalle sparatorie e dalle aggressioni degli “zeta-uno” che negli ultimi mesi si sono intensificate in maniera esponenziale. Volantini e manifesti di “Allerta Zombie” insozzano marciapiedi ed accessi alle metropolitane, mentre enormi graffiti di dubbio gusto avvertono i passanti sull’inevitabilità della fine del mondo.Quando arrivo al parcheggio della stazione di polizia, trovo quattro agenti con i mitra in mano ed il volto di chi vorrebbe essere ovunque tranne che montare la guardia al freddo. Riconosco Wishper e Jackson, gli altri due devono essere dei poveri novellini arruolati d’urgenza. Scendo cautamente per non destare preoccupazioni, rispondendo con un cenno del capo al <<Ciao Phil>> di Jackson che mi permette di passare.
L’atrio principale della stazione di polizia è semivuoto. Le due centraliniste ancora in opera sono sommerse di chiamate che purtroppo non potranno mai essere adeguatamente smistante ai pochissimi agenti di turno per le strade. I razziatori  della giornata trascorsa ammontano ad una decina e sono tutti ammanettati alle proprie sedie vicino alle celle ormai stracolme di detenuti. Tutti sappiamo (loro compresi) che verranno schedati, fotografati e dopo qualche ora, lasciati in libertà.
Saluto un collega che ricambia con un gesto inespressivo, poi lascio il salone centrale per dirigermi nell’area briefing. Quando entro all’interno, il capitano LeBlanc sta parlando ad una dozzina di agenti seduti su delle sedie in legno, continuando nel suo resoconto senza concedermi neppure un’occhiata.
<<…vi ricordo che anche l’area Ovest della città è stata messa in quarantena, quindi massima allerta se vi trovate nelle vicinanze. Ora passiamo ai turni. Timber, Close e Wilson… voi siete assegnati ai quartieri residenziali. Hall e Karson alla zona industriale, ma fate attenzione alla raffineria, abbiamo avuto svariate segnalazioni di un probabile “nido” lì nei pressi. Dawson… Dawson!!>> il capitano si avvicina alla sedia su cui un ragazzo di appena vent’anni si è addormentato in una posizione innaturale con il collo penzolante verso destra. <<DAWSON!!>> urla con vigore.
Il ragazzo si sveglia guardandosi attorno disorientato, per nulla consapevole di quel gocciolone di bava che gli scende dal labbro inferiore. Quando si accorge di LeBlanc ad un passo da lui, cerca di rimediare dandosi un’ordinata alla bell’e meglio.
<<Cristo santo, Dawson! Credi che questo sia il college? Credi che tra un po’ suonerà la campanella e potrai tornartene a casa?>> la faccia di LeBlanc inizia ad assumere un pericoloso colorito rossastro <<Stammi a sentire piccolo poppante… se là fuori ti addormenti, se ti distrai, se abbassi anche solo per un secondo la guardia, “quelli” ti mangiano vivo… letteralmente. Quindi beviti un paio di caffè, oggi sei di servizio con Phil…>> si gira nella mia direzione lanciandomi uno sguardo truce <<a voi il centro commerciale>> poi si volta di spalle e con voce stanca conclude <<potete andare>>
Tutti gli agenti si alzano per uscire dalla stanza, solo io rimango all’interno con il capitano LeBlanc.
<<Chiedo scusa capitano, ci sono notizie sull’intervento dell’esercito?>> Chiedo con la dovuta compostezza.
<<No Phil>> mi risponde scuro in volto mentre rassetta delle carte sopra ad un tavolino
<<E dal Ministero della Salute? Novità sul vaccino?>> Proseguo imperterrito.
<<No Phil, nessuna>> replica con lo stesso tono seccato.
<<Ma la Guardia Nazionale è a conoscenza della situazione in cui ci…>>
<<Cristo santo Phil! Basta!>> il pugno del capitano batte sul tavolo con vigore. <<Lo vuoi capire che non c’è nessuno che verrà ad aiutarci, perché non c’è nessuno che può farlo! Siamo isolati e nella merda, come lo sono esattamente tutte le altre città… e se vuoi il mio parere, le cose non miglioreranno affatto, quindi mettiti l’anima in pace e vai a fare il tuo dovere!>>
Quando esco dalla sala briefing vedo Dawson che mi si accoda come un cagnolino.
<<Ciao, piacere, io sono Dawson>> mi tende una mano che non ho alcuna intenzione di stringere <<so che sei da parecchio nella polizia e che…>>
<<Ascolta Dawson>> mi fermo e mi volto gelandolo con lo sguardo <<Phil, è l’unica cosa che devi sapere di me, come Dawson, è l’unica cosa che io devo sapere di te. Oggi siamo di pattuglia insieme, ma questo non fa di noi due amici, quindi  ricorda bene: tu farai quello che ti dico, quando te lo dico. Non obietterai, non parlerai e soprattutto non dormirai… e con un po’ di fortuna, vedrai che alla fine della giornata sarai ancora vivo. Domande?>> mi allontano prim’ancora che possa prendere fiato. Esco dalla stazione e rientro in macchina facendo un altro saluto a Jackson e Wishper, ancora lì fuori a battere i denti. Dawson sale al posto del passeggero commentando con un imbarazzato <<Oh capperi…>> quando l’ingombro del manganello che gli spunta dalla cintura non gli permette di chiudere la portiera. Scuoto la testa e aspetto che capisca da solo di dover sfilare il manganello prima di mettersi a sedere… e per mia sfortuna, mi accorgo che la questione porta via fin troppo tempo.
Quando finalmente riusciamo a partire, le tenui luci di un mattino nuvoloso illuminano la città facendola apparire come la tela di un tetro quadro grigiastro. Molte delle case silenziose che ci scorrono affianco sembrano deserte o lasciate alle mercé degli infetti di “zeta-uno”. I pochi individui che circolano per strada lo fanno con molta circospezione, tanto da allarmarsi appena si rendono conto della nostra presenza. Avverto la tensione del mio compagno di pattuglia nel suo tamburellare frenetico con le dita sul manganello: non mi stupirei se questo fosse il suo primo giorno operativo sul campo. Gli concedo qualche istante per intuire di essere fastidioso, ma le mie aspettative vengono nuovamente disattese. Mi volto semplicemente nella sua direzione. Lui si blocca. Cerca goffamente un posto dove poggiare il manganello e per un attimo ho l’istinto di suggerirgliene io uno, ma non mi sembra il caso di peggiorare la situazione. Apre il vano del cruscotto davanti a sé… dal cassetto spuntano la mia pistola di riserva e una bottiglia semivuota di gin. Chiudo con un gesto di scatto il vano, pietrificandolo nuovamente sul posto. Alla fine Dawson decide di tenere il manganello stretto tra le mani e tornare a guardare fuori dal finestrino… in silenzio e completamente immobile.
Il nostro giro di pattuglia dovrebbe condurci al centro commerciale, ma non passano che pochi minuti prima che la radio ci riporti la prima chiamata della giornata: un 10-52 in un negozio di alimentari sulla tredicesima.
<<10-52?>> Mi chiede Dawson perplesso <<Non ricordo, cos’è un 10-52?>>
<<Rapina a mano armata>> Rispondo mentre rallento per controllare che dalla via opposta non venga nessuno. Poi prendo la radio <<Qui volante 47, interveniamo>>
<<Ma non è di nostra competenza, noi dovremmo…>> Tronco l’osservazione di Dawson con un testacoda improvviso che lo porta ad imprecare mentre afferra energicamente la maniglia del passeggero. Affondo sull’acceleratore facendo stridere le gomme.
<<Questa è la polizia, ragazzo>> Dico senza togliere gli occhi dalla strada <<quando c’è un’emergenza, chi è nelle vicinanze… accorre. Perché se fossi tu a richiedere supporto, non credo vorresti che gli altri si facessero un giro al centro commerciale mentre sei nella merda>>
Il nostro colloquio per quel giorno si conclude lì.
Quando arriviamo sul posto, la serranda del negozio di alimentari è stata sfondata da un suv. All’interno, due balordi di appena sedici anni stanno prendendo ogni genere di viveri dagli scaffali, mentre un uomo sulla cinquantina, armato di fucile, tiene sotto tiro il proprietario, che se ne sta immobile dietro al bancone e con le mani alzate.
Estraggo la pistola ed intimo a tutti di arrendersi. Un ragazzo fugge lanciandosi contro una finestra, mentre l’altro si nasconde dietro ad uno scaffale. L’uomo armato ha invece la pessima idea di aprire il fuoco nella mia direzione. Fa in tempo ad esplodere un unico colpo in cui però mette in evidenza una pessima mira e un’evidente inesperienza nelle situazioni di “sparare-per-uccidere”.
Rispondo… per ben due volte. Una pallottola gli arriva alla spalla, l’altra in mezzo alla fronte. Guardo dietro di me e vedo Dawson tremante con la pistola in mano. Avanzo lentamente nel locale per controllare uno ad uno dietro gli scaffali, fino a quando non trovo l’altro ragazzo rannicchiato, che per sua fortuna ha il buon senso di alzare le mani ed arrendersi. Lo ammanetto ed affido al mio collega l’incombenza di controllare che il tizio col fucile sia effettivamente morto e che il proprietario non sia rimasto ferito.
Dawson non arriva neanche a tre metri dal cadavere per decidere di vomitare la sua colazione sul pavimento. Scuoto la testa ma non dico niente, in fondo è comprensibile per un ragazzino il cui addestramento sarà durato al massimo mezza giornata.
Gli comando quindi di tener d’occhio il prigioniero, mentre io mi accerto della situazione. Mi avvicino al corpo disteso a terra, la cui testa è immersa in una pozza di sangue. Gli rifilo un paio di calcetti ben sapendo che non sortiranno alcuna reazione, ma questa è la prassi ed io ormai sono abituato a rispettarla. Guardo oltre il bancone dove un tizio dagli evidenti tratti asiatici è accovacciato con le mani sopra la testa. Sto per rassicurarlo del fatto che è tutto finito, quando sento alle mie spalle uno enorme fracasso.
Non appena mi volto, Dawson è disteso con il naso sanguinante sopra ad uno scaffale caduto a terra, mentre il prigioniero corre via dal locale con le manette ai polsi dietro la schiena. Lo inseguo per strada, avvantaggiato dalla poca agilità della sua condizione, fino a quando non lo vedo infilarsi a fatica in uno squarcio della recinzione della zona di quarantena. A quel punto rallento ed estraggo la pistola.
Procedo per lo stesso passaggio mantenendo la posizione di all’erta e dopo pochi istanti, sento un urlo in lontananza. Bastano un paio di svolte per i vicoli di quello che una volta era un rispettabile quartiere residenziale, per arrivare a scorgere vicino ad un vecchio distributore di bibite, un tizio con una logora casacca dei Lakers, intento a cibarsi delle interiora del mio prigioniero, mentre questi emette gli ultimi spasmi di vita strozzandosi col suo stesso sangue.
Mi avvicino, molto lentamente.
Il non-morto sembra troppo impegnato dal pasto per curarsi di me, fino a quando non sente il rumore dei passi frenetici di Dawson che avanza ansimante alle mie spalle. La creatura fa appena in tempo a spalancare la sua bocca insanguinata nella mia direzione che gli pianto una pallottola in mezzo agli occhi. Mi avvicino al ragazzo morente mentre ancora boccheggia.
Lo freddo con un colpo alla testa. Dawson vomita… di nuovo.
Il resto della giornata ci impegna con altre otto rapine e sette aggressioni di “zeta-uno” ad abitazioni fuori dalla zona di quarantena. Per la maggior parte del tempo lascio che Dawson assista senza fare altro, visto che alla fine di ogni intervento lo trovo piegato in due ad emettere conati verso il terreno.
Sono passate le dieci di sera quando finalmente torniamo alla centrale. Io ho tre caricatori vuoti, mentre Dawson di vuoto ha solo lo stomaco. Quando esce dall’auto non lo saluto neanche, lascio che il ragazzo rimugini in silenzio sulla giornata per decidere se tornare domani… oppure no.
Quando riparto per rientrare a casa, un doppio trillo mi sorprende. Lo riconosco, anche se è da molto che non lo sentivo: è quello del mio cerca persone ed il numero sul display è di casa mia.
Faccio andare la macchina con una velocità che non credevo fosse possibile prima di allora. Ignoro i pochi codici della strada ancora in vigore senza pensare neanche per  un attimo alla loro esistenza. Quando arrivo davanti alla mia abitazione, trovo il portone spalancato… ho un tonfo al cuore.
Esco di scatto dall’auto con il motore ancora acceso, estraggo la pistola e salgo i quattro gradini all’ingresso.
<<Margaret!!>> grido <<Lucy!!!>> grido ancora più forte.
Attraverso il corridoio principale dando un rapido sguardo in cucina con la pistola puntata davanti a me, pronta a far fuoco alla minima presenza che non corrisponda ad una delle mie due ragazze.
Quando arrivo nel salone, tutto il mio mondo sembra sgretolarsi in un secondo.
Un signore sulla cinquantina con gli occhi infossati e la bocca lorda di sangue, giace a terra con un foro nel cranio e pezzi di cervella sparse su tutto il tappeto. Sulla targhetta della sudicia divisa da capostazione che ha indosso leggo il nome “Stan”, ma temo che chiunque sia stato quell’uomo non è lo stesso che è entrato in casa mia… gli evidenti segni della “zeta-uno” su tutto il suo corpo sono inconfondibili. Quando il mio sguardo si sposta più avanti, riconosco dalla vestaglia, mia moglie accovacciata di spalle su qualcuno di cui intravedo solo due esili gambette.
Per un attimo ho timore a pronunciare il suo nome… il timore che non sia lei a rispondere. Poi mi convinco.
<<Margaret…>> dico a bassa voce con la pistola che inizia a tremare tra le mani. Lei si volta di scatto e per un istante ho l’istinto di premere il grilletto. Poi vedo lacrime nei suoi occhi, quindi rilasso l’indice. Ma quello che c’è sotto di lei mi lascia senza fiato.
Lucy è sul pavimento, con il sangue che gli cola sia dal collo, che dal braccio destro.
<<Phil…>> dice Margaret con voce colma di disperazione <<sei qui… lui… lui ha colpito la porta… lei… lei pensava fossi tu…e io… io le ho detto di aspettare, ma lei è andata ad aprire… e poi… lui l’ha afferrata… e allora gli ho sparato… ma lei è stata morsa ed io … oddio ti prego aiutala… non so cosa fare!>>
Guardo il corpo di mia figlia distesa a terra, ha gli occhi chiusi, il colorito della pelle si sta facendo cianotico e la respirazione è affannosa. Ho assistito a questa scena un’infinità di volte, ma ora che la vedo ripetersi sul corpo di mia figlia, sento il sangue gelarmi nelle vene.
<<Ha bisogno di un dottore, Phil…>> grida Margaret tra le lacrime <<dobbiamo portarla in ospedale!>>
Ascolto le sue parole, anche se io so perfettamente che un ospedale non eviterà ciò che sta per verificarsi, perché ormai lo conosco bene. Quando arrivano gli spasmi respiratori non si è più coscienti e da quel momento si hanno solo pochi minuti prima dalla morte cerebrale. Trascorrono solo alcuni istanti in cui il corpo sembra inerme, quindi arrivano le contrazioni involontarie, fino a quando la creatura deambulante inizia a muoversi in cerca di carne viva.
Tutto questo accadrà anche a mia figlia e non c’è cura, non c’è dottore, non c’è nulla che io possa fare per evitarlo. Tranne…
<<Phil!!>> Margaret mi scuote per un braccio <<cosa fai lì impalato? Dobbiamo sbrigarci!>>
<<Mi dispiace>> Le rispondo guardandola negli occhi.
Mi avvicino alla piccola prendendola in braccio mentre sento gli occhi perplessi di Margaret che mi squadrano.
<<Cosa stai facendo?>> Mi chiede <<Phil… che cosa hai intenzione di fare?>> sento la sua preoccupazione crescere <<Dove la stai… Phil, dobbiamo andare in ospedale!!>> mi urla con ancora più veemenza vedendomi andare verso il bagno <<Fermati Phil!!>>
Ma ormai io sono già dentro ed ho chiuso la porta a chiave.
<<No Phil!! Noooo…>> sento i colpi di Margaret battere sulla porta alternarsi a grida di disperazione. Mi prega di non farlo… mi prega di non far del male alla sua bambina… mi prega… ma non c’è nulla da pregare. Quella che ho disteso nella vasca da bagno è anche mia figlia e c’è una sola cosa che posso fare per salvarla.
Vorrei poterle dire per un’ultima volta “ti voglio bene”… vorrei che potesse sentire le mie carezze sui suoi capelli, anche se impiastricciati di sangue, vorrei potesse sentire il mio ultimo bacio sulla sua fronte… e per un attimo, mi convinco che sia così.
Estraggo la pistola, ma quando tendo il braccio verso di lei, sento il peso della mia arma quasi insostenibile. Cerco di mirare alla testa, anche se trovo l’impresa quasi impossibile, dato che i miei occhi ormai strabordano di lacrime.
Non posso farlo. Le urla strazianti di mia moglie mi ripetono la stessa cosa che dice la mia testa… no, non posso farlo.
Poi il respiro di Lucy si blocca di colpo, così come tutto il suo corpo.
E’ mia figlia, sangue del mio sangue… non posso farlo.
D’un tratto il mignolo della sua mano sinistra fa un lieve movimento.
L’ho vista nascere, crescere, l’ho vista ridere e piangere… non posso farlo.
La gamba sinistra scalcia… una… due… tre volte.
E’ parte di me, linfa della mia stessa vita… non posso farlo.
La testa ruota di lato e la bocca si spalanca emettendo un sibilo innaturale. Sto piangendo fiumi di lacrime amare ma… no, non posso farlo.
Lucy apre gli occhi… ma quegli occhi non sono i miei.
“SBAAAAM”
<<NOOOOOOOO!!!!>> Margaret grida con tutto il fiato che le rimane in corpo… fino a quando non inizia a singhiozzare sommessamente contro la porta.
Lascio cadere la pistola e mi lascio cadere anche io. Appoggio la testa al lavandino, incredulo del mio stesso gesto. Passo non so quanto tempo senza mai sbattere le palpebre con l’immagine di mia figlia morta che mi si imprime nella mente sopprimendo ogni altro ricordo che ho di lei. Fuori dalla porta Margaret non piange più.
Cerco di farmi forza per alzarmi, quindi esco dal bagno. Mia moglie non c’è.
“SBAAM”
Sento il colpo di una pistola di piccolo calibro provenire dall’altra stanza e d’istinto, raccolgo la mia arma dal pavimento del bagno. Il soggiorno è ancora intriso dell’odore nauseante del tizio disteso a terra. Passo il corridoio d’ingresso e mi maledico per aver lasciato la porta aperta, finché non vedo la luce accesa in cucina. Quando mi affaccio, Margaret è seduta su di una sedia con la testa rivolta all’indietro dalla quale cadono voluminose gocce di sangue, mentre la pistola che le avevo dato per difendersi, ora è a terra, proprio sotto la sua mano penzolante.
Vorrei poter urlare tutta la disperazione che ho in corpo, invece non riesco a dire niente. Rimango fermo ed in silenzio. Qualcosa dentro di me mi vieta di avvicinarmi a lei. Come se inconsciamente volessi mantenere nella mia mente quel sorriso che mi ha fatto innamorare e non ciò che potrei trovare ora sul suo volto. Quindi aspetto… no so cosa, ma aspetto.
Trascorro quasi un’ora in quello strano stato di stasi, poi torno in soggiorno ed apro lo sportello del mobile dove tengo gli alcolici. Prendo tutte le bottiglie che trovo, quindi esco dal portone di casa e mi siedo sul pianerottolo, assicurandomi di avere una buona scorta di munizioni. Il freddo pungente della notte mi permea fin nelle ossa, ma quando inizio a scolarmi i primi sorsi di vodka, la situazione diventa molto più sopportabile.
Le ore passano con una lentezza quasi surreale e quando l’alba porta un po’ di luce per le strade, gran parte delle mie bottiglie di alcolici sono sparse per terra…  vuote… proprio vicino ai tredici corpi inermi di quei deambulanti che hanno avuto l’ardire di avvicinarsi. Sono talmente stanco e stordito che a stento riesco a tenere aperti gli occhi e quando mi appisolo, l’unica cosa che mi risveglia è la radio della polizia che avverte tutti gli agenti del crollo delle zone di quarantena Nord ed Ovest. Le successive ore sono un continuo di chiamate di emergenza per aggressioni di “zeta-uno” in tutte le aree. Trascorro i successivi due giorni seduto davanti al pianerottolo ascoltando i messaggi di soccorso della mia radio e scolandomi le ultime bottiglie di whisky, mentre il numero di non-morti che sono costretto ad abbattere aumenta drasticamente. Il terzo giorno di sbronza sono a secco di alcool e la radio della polizia tace completamente.  Ci siamo, non posso più aspettare.
<<Giuro…>> sussurro con voce impiastrata.
<<…di essere fedele sempre al corpo di polizia e alla patria…>> proseguo alzandomi molto faticosamente in piedi.
<<…di osservare la costituzione e le leggi di cui è composta…>> avverto un capogiro e per poco non perdo l’equilibrio
<<…di adempiere con disciplina ed onore a tutti i miei doveri…>> estraggo la pistola dal fodero
<<…e di proteggere e servire la patria e tutta la sua popolazione…>>
la punto contro la mia tempia, poi chiudendo gli occhi
<<…quand’anche questo richiedesse la mia stessa vita>>
premo il grilletto.
“CHI’NK”
Uno strano suono metallico.
Apro gli occhi e sfilo il caricatore dall’interno della pistola: vuoto. Faccio scorrere la canna dal suo alloggiamento dove una pallottola schizza in alto, mentre io l’afferro al volo.
Mai prima d’ora la mia pistola aveva fatto cilecca… mai.
Prendo un altro caricatore gettando via quello vecchio: non ho la minima intenzione di cedere a quel fortuito evento. Faccio per caricare l’arma, quando mi accorgo di uno School-Bus fermo a qualche decina di metri da me, stracolmo di persone al suo interno, mentre una ventina di putridi lo circondano decisamente intenzionati a farsi una bella scorpacciata.
Passo una mano sui miei occhi stanchi, giusto per schiarirmi la vista. Il pulmino è bloccato dal corpo di un deambulante incastrato tra il semiasse e una ruota. Impassibile, guardo la scena con un solo pensiero… “Sono tutti morti”.
Nonostante il terrore dei passeggeri a bordo, vedo qualcuno che sembra deciso a non mollare. Una ragazzina dagli strani capelli viola continua ad infilzare con una spada ricurva quanti più non-morti riesce a raggiungere dal suo finestrino. Sorrido.
Sto per puntarmi nuovamente la pistola in testa quando lo sguardo mi cade sul berretto da poliziotto che ho lasciato a terra. Non posso evitare di leggere la scritta sul frontale che mi dice: “Proteggere e Servire”.
Scuoto la testa per togliermi quella scritta dalla mente, ma l’unica cosa che ottengo come risultato, è una fastidiosa sensazione di vertigine. Guardo ancora per un attimo il berretto. Prima lo maledico, poi lo calpesto, infine abbasso la pistola e mi dirigo a passo svelto verso lo School-Bus.

[…]

“SDU-DUMM… SDU-DUMM”
A svegliarmi questa volta è il ripetersi di un movimento sussultorio insieme ad un rumore sordo… anche se la vera novità è la vista di un chiaro cielo notturno puntellato di stelle.
<<Ha aperto gli occhi!>> La voce euforica di Wanda mi trapana le orecchie <<Guardate ragazzi, ha aperto gli occhi! Phil si è svegliato!!>>
<<Io aggiungerei: “purtroppo”>> sopraggiunge amareggiato il commento di Ned.
“SDU-DUMM”
ancora quel rumore… ancora un sobbalzo.
Sono completamente indolenzito e posso a malapena ruotare il collo, ma dal poco che riesco a vedere non mi è difficile intuire di essere sdraiato sul sedile posteriore di un’auto… e con il cielo stellato spalancato sopra di me, direi che si tratta di una decappottabile.
<<Ben tornato poliziotto>> mi dice Wanda entrando improvvisamente nel mio campo visivo <<hai fatto proprio una bella…>>
“SDU-DUMM”
Ennesimo sobbalzo.
<<Dannazione Ned!>> sbotta Amy seduta vicino al guidatore <<Vuoi piantarla?! Danneggerai l’auto>>
<<Che c’è?>> Replica l’altro proprio al suo fianco <<sto facendo… pulizia>>
Cerco di mettermi a sedere, ma la fitta al braccio sinistro che vedo avvolto in una garza impiastricciata di sangue, mi convince a desistere.
<<Piano…>> dice Wanda aiutandomi con molta attenzione ad alzarmi <<Amy ha appena fatto il bendaggio. Sai, è stata proprio brava, pensa che prima ha pulito la ferita, poi ha iniziato a ricucire…>>
Lascio che Wanda esponga tutta la questione nei minimi dettagli… questa sera non ho voglia di interromperla.
Quando alla fine riesco a issarmi sullo schienale, sono circondato da fiotti di vento che mi giungono da ogni direzione mentre i fari dell’auto illuminano una strada buia su cui sparuti putridi con andamento ciondolante fanno appena in tempo ad accorgersi di noi, prima di passarci affianco in un lampo… tranne per quelli che…
“SDU-DUMM”
Uno schizzo di sangue imbratta il parabrezza.
<<NED!>> Grida Amy furiosa <<fallo ancora e dovrai guidare senza mani>>
<<Che palle ‘ste donne!>> Replica l’altro seccato, attivando il tergicristalli <<Tutte a dare ordini: Ned porta lo sbirro… Ned guida la macchina… Ned non spiaccicare carne-morta contro il parabrezza…  Qua io sono l’unico che sgobba come un mulo e che non ha mai una gioia…>>
Cerco qualcosa che mi distragga dallo sfogo di Ned che prosegue per alcuni minuti ed è con molta sorpresa che scopro di avere ancora infilata in tasca la piccola fiaschetta di Jack Daniel’s.
Quando la tiro fuori e svito il tappo, basta solo l’odore del whisky per darmi il volta stomaco. Improvvisamente, Ned ingrana la marcia più alta, conclude il suo turpiloquio con un “fanculo!” stizzito ed aumenta la velocità dell’auto, facendo rombare il motore chiaramente truccato.
Guardo per un secondo la bottiglia con la chiara intenzione di lanciarla via… poi la mia attenzione si sposta istintivamente sulla miriade di creature marcescenti che schiviamo come fossero esili  birilli traballanti… ed è allora che inizio a bere.

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