Episodio 2 – Zona Y

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Illustratore: Leandro Seva

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Molto tempo prima che “tutto questo” accadesse…

La strada sterrata su cui la volante 108 stava procedendo lentamente, si era infilata tra le vaste campagne aride che si estendevano a perdita d’occhio in ogni direzione. Un’altra auto della polizia seguiva con la stessa andatura a qualche decina di metri di distanza, cercando di evitare il più possibile la coltre di polvere che la 108 si stava lasciando alle spalle. Lungo la linea dell’orizzonte, le tremolanti ombre di un tramonto estivo si agitavano convulsamente, apparendo come fumi di un incendio ormai estinto. In mezzo a quell’oceano di steppa e piantagioni di grano incolto, l’agente Alan Miller intravide dal finestrino anteriore del passeggero, la lontana figura isolata di un casolare fatiscente.
<<Ci siamo>> Disse con voce fredda il sergente Juan Vazquez seduto al posto di guida.  L’espressione severa intagliata sul suo volto non si era scomposta di un millimetro. Attraverso quegli occhiali a goccia con lenti specchiate, era impossibile decifrargli una qualsiasi emozione, cosa che Alan aveva imparato già da tempo. Nei tre anni in cui erano stati assegnati di pattuglia insieme, non c’era stata una sola occasione in cui il sergente avesse lasciato trasparire il minimo segno di debolezza. Alan invece era visibilmente nervoso.
<<Qualcosa non va, agente Miller?>> Chiese il sergente Vazquez con tono quasi accusatorio. Poteva essere freddo ed inespressivo, ma da buon poliziotto, fiutava sempre quando c’era tensione nell’aria.
<<Nossignore… Tutto ok>> Mentì Alan pur sapendo che il sergente non avrebbe creduto ad una sola parola. Nonostante ciò, non ricevette nessun’altra domanda in cambio. Questo perché il suo superiore se ne infischiava di conoscere la verità, l’unico obiettivo di quella domanda era assicurarsi di mantenere alta la concentrazione durante un’operazione sul campo.
Ma non era la missione ad agitare Alan, bensì quella piccola scatola in velluto nero con la scritta “Cartier” che aveva comprato  quella stessa mattina prima di montare in servizio, ora ben nascosta nella tasca dei suoi pantaloni. Anche se di soli pochi grammi, sentiva un enorme peso gravargli addosso.
C’erano voluti tanto coraggio e due anni di risparmi per decidersi ed acquistare un oggetto che in fin dei conti era solo un piccolo pezzo circolare di metallo sulla cui sommità spuntavano tre piertruzze intagliate. Eppure, quella stessa sera, in ginocchio davanti alla sua ragazza, quel piccolo anello avrebbe cambiato la sua vita per sempre. Almeno così Alan si augurava.
La radio della volante sfrigolò, poi si udì il suono di una voce irritante.
<<Qui auto 110… Ehi sergente, lo ha visto quel video “Allerta Zombie” che gira su internet? Perché mi chiedevo… se la vecchiaccia nella catapecchia che stiamo andando a requisire è diventata una di quei “cosi”. Il documento di sfratto glielo dobbiamo far firmare lo stesso? Passo>>
Le uniche cose che riuscivano ad intaccare la calma siderale  del sergente Vazquez, erano i puntuali commenti sarcastici dell’agente Daniel Creep.
<<Agente Creep, smettila di guardare YouTube e lascia immediatamente libero il canale per comunicazioni più importanti. Chiudo>>
La radio batté energicamente nel suo vano, ma dal modo in cui scuoteva la testa, era evidente che al sergente non bastò quel gesto per placarsi. Alan non disse nulla, perché non c’era nulla da dire.
Daniel Creep era un coglione: lo sapeva il sergente Vazquez, lo sapeva Alan e, con molta probabilità, perfino lui stesso sapeva di esserlo.
Figlio del sindaco, grazie al quale aveva ottenuto le opportune spinte per entrare in polizia, Daniel Creep era identificabile nel peggior stereotipo negativo del poliziotto comune, il cui unico scopo consisteva nel pavoneggiarsi della propria autorità con i modesti abitanti di una piccola cittadina di provincia. Le sue missioni sul campo non comportavano mai grossi rischi ed erano sempre supervisionate da agenti ben addestrati, come il sergente Vazquez, al quale era richiesta da fonti autorevoli, la massima premura. In definitiva, una pesante palla al piede difficile da trascinarsi dietro.
Dopo alcuni minuti, le due volanti giunsero nei pressi di un ampio recinto in legno visibilmente logorato dal tempo, al cui interno si intravedeva l’avvizzita vegetazione  di un giardino decadente. La vecchia casa al centro del giardino non era in condizioni migliori.
Appena sceso dall’auto, Alan diede un rapido sguardo in giro: ogni cosa sembrava lasciata all’incuria o priva di vita. Per un attimo gli tornò in mente la battuta assurda dell’agente Creep. Una brutta sensazione gli si insinuò nella testa ma Alan si affrettò a scacciarla via come una mosca fastidiosa. Odiava internet e sapeva bene che la rete mostrava un sacco di fandonie, soprattutto quelle che volevano diffondere il panico. Nonostante questo, anche lui aveva visto quel video in cui un tizio veniva investito da un’auto che subito dopo si era fermata per prestare soccorso. Negli istanti seguenti l’uomo, che era stato scaraventato a terra dalla vettura, si era rialzato aggredendo il guidatore, strappandogli via un pezzo di collo con un morso.
Ovviamente Alan non si era lasciato abbindolare da quel video sfocato e mal definito, il cui titolo era noto come: “Allerta Zombie”. Anche se doveva ammettere che qualsiasi trucco avessero usato per costruire la scena, era stato dannatamente credibile.
Intanto l’altra volante aveva parcheggiato in malo modo poco più avanti dall’auto del sergente Vazquez. Dal suo interno uscirono due agenti in divisa, ma nessuno dei due dava l’impressione di essere l’emblema del poliziotto modello.
Il tizio alla guida era David Reeland, un ragazzetto magrolino di appena diciannove anni, scostante e taciturno. L’altro invece era di tutt’altra specie.
La figura rubiconda dell’agente Creep suscitava irritazione già solo dalla camminata ciondolante, per non parlare poi di quel modo rumoroso che aveva di biascicare le gomme da masticare.
<<Io ve lo ripeto, secondo me qua ci serve un lanciafiamme, non un’ingiunzione di sfratto>>
Al commento sarcastico di Daniel Creep, fece subito eco la solita risatina beffarda dell’agente Reeland alle sue spalle.
<<Ora basta Creep! Abbiamo degli ordini da eseguire e li eseguiremo>> Quando Vazquez alzava il tono della voce, anche l’irriverenza di quel borioso figlio di papà veniva meno <<Statemi tutti a sentire…>> disse il sergente attirando su di sé la completa attenzione dei tre agenti <<…ciò che dobbiamo fare oggi non piace a nessuno. Portare via la casa ad una donna anziana di quasi settant’anni che vive con suo nipote non è il massimo del nostro lavoro, soprattutto in questi tempi di crisi economica. Ma siamo poliziotti! Quindi faremo il nostro dovere. Agiremo con la massima discrezione e faremo capir loro che non vogliamo essergli ostili, chiaro?>>
Il sergente non attese alcuna risposta, si incamminò semplicemente con passo deciso verso il cancello del recinto. Alan aveva ricevuto i suoi ordini, quindi seguì il suo superiore senza fare obiezioni. Quando però giunsero ad un metro dal cancello, una storta scritta impiastricciata di fango su di un cartello improvvisato, costrinse tutti ad un attimo di esitazione:

“NIENTE SBIRRI”

L’agente Miller non riuscì a trattenere un sussulto, ma non accennò ad alcun commento. Alle sue spalle, Creep non fece lo stesso <<Cavolo!… mi sarei messo in alta uniforme se avessi saputo che ci avrebbero accolto così bene>>
Il sergente Vazquez ignorò a fatica l’ennesima osservazione fuori luogo del suo sottoposto, poi aprì il cigolante cancello e si incamminò lungo l’impervio vialetto composto da sparsi massi dissestati che conducevano al portone d’ingresso. Alan procedeva poco dietro, infastidito non tanto da Creep, quanto da quella brutta sensazione che continuava a ronzargli in testa. Gli altri due agenti invece se la stavano prendendo comoda, distanziati di una manciata di metri dal gruppo in testa.
Lungo il percorso comparve un nuovo cartello, questa volta di dimensioni molto più grandi. Svettava da un cumulo di foglie secche come una grottesca bandiera inclinata, ed anche qui, la scritta infangata era decisamente eloquente.

“NIENTE FOTTUTI SBIRRI”

<<Wow… Deve volerci un gran bene questa nonnina. Scommetto che ci aspetta con latte e biscotti. Sempre che sia ancora viva>> Creep strizzò un occhio al suo compare, ma la risatina strozzata che ottenne in risposta dall’agente Reeland non parve più così divertita come lo era di solito. Alan continuò a camminare senza dir nulla, sperando solo di sbagliarsi sui propri timori. Il sergente Vazquez invece sembrava non voler dare alcun peso alla questione, tanto da non rallentare neanche di un passo quando si trovò ad oltrepassare l’ennesimo cartello con su scritto:

“ULTIMO AVVERTIMENTO”

Il cranio di un animale morto era stato affisso al centro del cartello e la scritta era decisamente più evidente delle precedenti.
<<Ok cazzo! Questo sì che è inquietante!>> Gridò Creek preoccupato alla vista del cartello ed estraendo poi la pistola. Reeland si congelò sul posto, poggiando preventivamente una mano sulla sua arma. Sorpreso dalla reazione esagerata del suo collega, Alan si voltò di scatto e per poco non cadde a terra inciampando su uno dei massi dissestati.
<<Agente Creep, cosa diavolo stai facendo?>> Il sergente Vazquez si era fermato ed il suo volto aveva assunto un’espressione glaciale <<Riponi immediatamente la pistola d’ordinanza nella fondina>> non c’era cattiveria nella sua voce, solo pura determinazione. Per qualche istante Creep cercò di reggere lo sguardo del suo superiore, ma a quel gioco, il sergente non conosceva rivali.
Con evidente dissenso Creep obbedì. Quando tutti gli altri tornarono ad incamminarsi con una certa inquietudine verso il portone, lui notò qualcosa di insolito per terra, proprio lì sul vialetto <<E questo cos’è?>> Disse raccogliendo una piccola scatola in velluto nero con sopra una scritta dorata <<PORCA TROIA!>> Esclamò a gran voce dopo aver aperto il contenitore.
<<Agente Creep, si può sapere cos’hai ancora da lamentarti?>>
Il tono esasperato del sergente Vazquez era un chiaro segno della sua pazienza quasi del tutto esaurita. Alan questa volta non si fece trarre in inganno e si girò lentamente, convinto di trovare Creep alle prese con l’ennesima stupidaggine irrilevante. Poi, quando notò qualcosa di molto familiare nella scatola che stringeva in mano, iniziò decisamente a preoccuparsi.
<<Diamine Creep, quello è mio!>> Inveì Alan costatando con le mani infilate nelle proprie tasche di aver smarrito l’anello <<deve essermi caduto prima mentre…>>
<<Ehi, stiamo calmi, non diciamo cose che non possiamo provare>> Sorridendo maliziosamente, Creep chiuse la scatola serrandola nella mano e portandola in alto come se fosse in un punto inarrivabile.
<<Non essere infantile Creep>> La situazione stava rasentando il ridicolo ed Alan iniziava a sentirsi davvero infastidito <<dammi quell’anello>>
Il sergente Vazquez decise  che era venuto il tempo di richiamare all’ordine l’agente Creep. Fece qualche rapido passo indietro, poi urlò
<<ORA BASTA!>> “BAAAAM!!!”
Il grido del sergente coincise quasi all’unisono con un lontano boato dirompente che riecheggiò per alcuni istanti su tutta la pianura, zittendo ogni altro rumore.
La mano di Creep non c’era più.
Al suo posto era rimasto solo un misero moncherino sanguinante dal quale si intravedeva l’osso del polso.
Le urla strazianti dell’agente mutilato risuonarono come un miscuglio dissonante di dolore e terrore. Reeland invece era pietrificato dalla paura, con gli occhi sbarrati e la faccia puntellata dal sangue che gli era schizzato addosso, dopo che la mano del suo collega era andata in frantumi, insieme alla custodia dell’anello. Il fragore del botto aveva fatto perdere qualche battito al cuore di Alan, ma l’addestramento prese il sopravvento sul panico. Estrasse la pistola e si voltò. Il colpo era venuto con molta probabilità da un’arma di grosso calibro all’interno della casa, ma capire quale fosse il punto preciso era praticamente impossibile. Il sergente Vazquez fu molto più pragmatico.
<<Allontaniamoci subito!! Via! Via! Via!!>> Urlò arrivando da Creep per sostenerlo sotto una spalla e procedere poi verso l’uscita del giardino. <<Miller, Reland, seguitemi! Ripariamoci dietro le nostre auto!>>
Alan eseguì, ma Reeland era ancora immobile e con lo sguardo perso nel vuoto.
<<Reeland, muoviti!>> Gridò verso il suo collega.
Un altro colpo esplose a pochi centimetri dai piedi dell’agente ancora fermo. Alan tornò indietro e afferrandolo in malomodo per un braccio, lo tirò via con forza. Reeland non oppose resistenza, ma seguì il suo compagno con un’andatura traballante, come se fosse inconsapevole di farlo.
Mentre battevano frettolosamente in ritirata, i quattro agenti furono accompagnati da una pioggia di proiettili. Un colpo fece saltare il primo cartello con la scritta “NIENTE SBIRRI”, poi una parte del cancello di legno venne ridotta ad uno spruzzo di schegge impazzite. Quando finalmente riuscirono a trovare riparo dietro alla volante 108, altri due colpi ridussero in frantumi un finestrino ed uno specchietto retrovisore.
<<Qui sergente Vazquez>> disse a gran voce il sergente afferrando la radio sulla sua spalla destra <<richiediamo immediato soccorso medico>> Un altro colpo e la ruota anteriore destra andò a terra <<e dei rinforzi>> poi quella posteriore <<molti rinforzi!>>
La radio sfrigolò, poi si udì la voce sorpresa di un’operatrice
<<Qui centrale… Sergente Vazquez, dove siete, cosa sta succedendo?>>
Dopo aver scaraventato a terra l’agente Reeland, che si era rannicchiato vicino ad una ruota tappandosi le orecchie con le mani, Alan si era sporto lentamente dal lato posteriore dell’auto, lanciando una rapida occhiata per capire meglio chi stesse sparando.
<<Siamo nelle campagne del Westside, fattoria Corrindon, ci serve un medico. Agente ferito, ripeto… agente ferito e…>> un altro colpo distrusse il finestrino proprio sopra la testa del sergente Vazquez ricoprendogli il cappello di schegge di vetro <<rinforzi! Inviate rinforzi! Ci stanno riempiendo di piombo!>>
Trovato! Finalmente Alan lo vide.
Dalla finestra più alta di quel casolare, poggiato su di un treppiede, un imponente fucile con un mirino da cecchino continuava a sparare verso di loro. Dietro di esso era celata una vaga figura maschile piuttosto robusta. Alan non attese di sapere altro e rispose al fuoco. Dopo una manciata di colpi, l’uomo tirò via il fucile rintanandosi all’interno.
“Beccato!” Pensò Alan soddisfatto.
Pochi istanti dopo, l’uomo si affacciò nuovamente alla finestra con qualcosa poggiato sulla spalla… ma questa volta non era un fucile da cecchino.
<<Sergente!!>> Gridò Alan con occhi increduli.
Vazquez si voltò, sporgendosi lentamente per capire cosa stesse fissando l’agente Miller con così tanta preoccupazione.
<<Chi vi sta sparando sergente? Di quanti rinforzi avete bisogno?>> Chiese preoccupata la voce femminile alla radio.
<<OCCRISTO!>> Vazquez non ascoltò una parola della  comunicazione <<VIA!! VIA!! VIA!! Dietro l’altra auto, muoviamoci!>> afferrò il braccio sano di Creep, ignorando i suoi lamenti farfuglianti, e tirò più forte che poteva. Alan fece lo stesso con l’agente Reeland, ancora rannicchiato ed in evidente stato shock.
Quando impattò con il terreno a pochi centimetri dall’auto, la testata esplosiva dell’RPG-16 fece saltare per aria la volante 108 come se fosse un foglio di carta sospinto da una folata di vento. Dopo un volo di un paio di metri, l’auto ricadde sotto sopra completamente in fiamme. L’onda d’urto sbalzò via i quattro poliziotti che riuscirono a raggiungere l’altra auto solo a tentoni e con svariate abrasioni su tutto il corpo.
<<Sergente Vazquez!! Sergente Vazquez!! E’ ancora lì? Che cosa è successo? Di quanti rinforzi ha bisogno?!>> La voce alla radio si era fatta decisamente più apprensiva.
<<Tutti!!>> gli occhiali a specchio si erano rotti e la voce era viziata da un tremolio incontrollato. Per la prima volta nella sua carriera da poliziotto, il sergente Vazquez provò il vero significato della parola paura <<Mandate…. tutti i rinforzi… possibili!!>>

La guardia girò la chiave per tre volte e lo schiocco metallico della serratura chiusa a tripla mandata, fece sobbalzare il cuore di Gregory. Non era abituato ad andare a trovare i suoi clienti direttamente in carcere, ma per questo caso doveva fare un eccezione.
La porta metallica si aprì su di una piccola cella maleodorante, al cui centro era stato posizionato un tavolo quadrato con due sedute ai lati opposti. Su una delle due sedie, era stato incatenato con manette alle mani e ai piedi un uomo corpulento con lunghi capelli rossastri e una grezza barba dello stesso colore. L’uomo continuava a strofinare degli spessi occhiali incerottati sulla propria divisa arancione da carcerato.
Non appena Gregory si mise a sedere nel posto vuoto, l’uomo davanti a lui indossò gli occhiali e  gli strizzò un occhio <<Guarda un po’ chi si rivede…>> disse con voce irriverente.
Erano passati più di dieci anni dall’ultima volta in cui si erano incontrati, ma Gregory avrebbe riconosciuto il suo miglior amico anche se ne fossero trascorsi cento. Peccato che l’occasione non era delle migliori.
<<Si può sapere cosa cazzo hai combinato, Ned?>>
Disse battendo sul tavolo il fascicolo che aveva in mano.
<<Oh Oh… Sono contento anch’io di rivederti>> Ned mostrò un evidente ghigno sarcastico <<ti trovo proprio in forma Greg e vedo che gli studi in legge hanno reso alla grande. Bello quel completo, cos’é… Valentino?>>
<<Armani… e ora basta cazzate. Mi dici cosa diavolo ti è venuto in mente?>>
<<Mi hanno incastrato amico mio. Il governo e quegli sbirri fottuti, vogliono chiudermi la bocca>> Rispose Ned con un filo di voce, come se non volesse farsi sentire dalla guardia rimasta all’ingresso della cella.
<<Incastrarti? Ma cosa vai blaterando?>> Gregory aprì di scatto la prima pagina del rapporto <<hai sparato a quattro agenti!>>
<<Erano stati avvertiti di non entrare… Per tre volte! Non è colpa mia se in polizia arruolano solo analfabeti>>
<<Ma… Ma… Ad uno dei poliziotti hai fatto saltare una mano!>> Gregory aveva già letto quel rapporto, ma ogni volta che lo riesaminava ne rimaneva esterrefatto.
<<Credevo avesse dell’esplosivo>>
<<Era la custodia di un anello!>>
<<E io come potevo immaginare che degli sbirri culattoni avessero intenzione di fidanzarsi proprio nel mio giardino?>>
<<No… L’anello non era per…>> Gregory sospirò <<lasciamo stare… >> voltò pagina e sbarrò gli occhi <<hai anche fatto saltare un’auto della polizia con un lanciamissili! Si può sapere dove hai preso un lanciamissili?!>>
<<Ehi stiamo calmi! Quello sbirro del cazzo ha iniziato a sparare proprio mentre zia Linda mi stava portando la cena. Per sua fortuna aveva una pessima mira, altrimenti sì che mi sarei incazzato se avesse rovesciato la mia zuppa di farro>>
<<Ti sparava perché tu li stavi bersagliando con un fucile Barret M82 calibro 50. Avresti potuto uccidere qualcuno!>>
<<Naaa, non dire fesserie Greg. Avevo montato un mirino telescopico con obiettivo regolabile, senza contare che il fucile era stabilizzato su di un treppiede in titanio. Se avessi voluto uccidere qualcuno di quegli sbirri, ora sarebbero cadaveri. Volevo solo farli scappare, ma quei maledetti hanno chiamato altri amici>>
<<Cristo santo Ned, ci sono volute due squadre della SWAT e un elicottero dell’esercito per tirarti fuori da quella soffitta. Ti rendi conto di aver messo in pericolo anche la vita di tua zia? Povera donna, sarà rimasta traumatizzata>>
<<Puttanate! Quella vecchia bacucca è suonata come una campana, non si è accorta di nulla. Pensa che quando le forze speciali hanno fatto irruzione, lei ha semplicemente invitato tutti a non passare con gli scarponi sopra al tappeto>> Ned sorrise divertito <<In fondo quella è pur sempre casa sua>>
<<Non lo è più Ned ed è proprio questo il motivo per cui quegli agenti erano venuti. La fattoria e tutto il terreno circostante hanno due ipoteche a tuo nome, entrambe scadute da mesi, per un debito di oltre mezzo milione. Si può sapere cosa ci hai fatto con tutti quei soldi?>>
Ned si guardò attorno, come per assicurarsi di non essere osservato <<Ok amico, io te lo dico, ma che rimanga tra noi>> poi si avvicinò al tavolo per potergli parlare ancor più silenziosamente. <<Un bunker>> disse con un filo di voce
<<Un bunker?>> ripeté l’altro incredulo.
<<Ssshhhh! Tutta questa messa in scena è solo una montatura per potermi sbattere dentro e tapparmi la bocca, perché io ho capito il loro gioco e non vogliono che possa più avvertire tutti>>
<<Loro?… Chi sono “loro” e di che gioco stai parlando?>> A Gregory tutta quella storia sembrava sempre più assurda
<<Il governo, Greg… Il governo ha architettato tutta questa pagliacciata solo per mascherare la verità. Hai presente “Allerta Zombie”?>>
<<Oh cazzo Ned, gente morta che torna in vita… il più squallido degli horror di Serie-B. Non crederai davvero a…>>
<<L’ho messo io quel video su internet>> La risposta di Ned lasciò Gregory di sasso <<…le telecamere che hanno ripreso la scena erano di una pompa di benzina in cui lavoravo. Come ogni mattina, stavo dando uno sguardo veloce ai nastri della sera precedente e appena ho visto la scena ho deciso di portare il video alla polizia, ma quelli cosa hanno fatto? Hanno  avvertito subito i federali che sono arrivati in un batter d’occhio requisendo   tutte le registrazioni senza far sapere più niente a nessuno. É stato allora che ho capito tutto. Il governo ci stava nascondendo qualcosa di grosso e gli sbirri erano delle fottute pedine nelle loro mani. Fortunatamente  avevo fatto una copia del nastro, così l’ho presa e sbattuta subito in rete per avvertire tutti. Poi ho iniziato a lavorare al bunker. Sono passati cinque anni da allora e da quel giorno non ho pensato ad altro>>
Gregory iniziò a temere per la salute mentale del suo amico. Dopo i tre anni passati in Iraq, Ned non era stato più lo stesso. Gli psicologi dell’esercito gli avevano diagnosticato un disturbo da stress post traumatico, risolvibile con un paio di mesi di sano riposo. Una cura approssimativa che a quanto sembrava non aveva fatto altro che aggravare la sua condizione.
<<Credimi Ned, non c’è nessun piano governativo… Non c’è nessuna “Allerta Zombie”… Non so cosa sia successo realmente in quel video, ma scatenare il panico non servirà a risolvere le tue beghe legali e finanziarie. Ora dobbiamo solo pensare a preparare un piano di difesa in aula. Per prima cosa cercheremo di restituire parte del denaro che hai prelevato. Ho bisogno di sapere dove sono realmente finiti tutti quei soldi per…>>
<<Col cazzo che gli darò il mio bunker antiatomico!>> Ned batté entrambi i pugni sul tavolo facendo tintinnare le catene ai polsi. La guardia all’ingresso fece un passo avanti pronto ad intervenire, ma Gregory lo bloccò immediatamente alzando una mano nella sua direzione.
<<Calmati Ned, hai davvero costruito un bunker?>>
<<Cazzo che sì! Lì dentro ci sono armi a sufficienza per resistere ad un assedio e cibo in grado di sostentare dieci persone per più di vent’anni. Non darò indietro la mia ancora di salvezza a quegli spocchiosi succhia sangue in doppiopetto. E ti dico un’altra cosa amico mio… anche se riuscissero a trovarlo, quei figli di puttana non capirebbero mai come aprire la porta blindata a chiusura stagna che ho piazzato all’ingresso. Ho progettato un codice di accesso a tredici fattori che si modificano ogni tredici secondi, con una varianza di combinazioni pari a oltre trecento bilioni. Neanche un super computer della NASA riuscirebbe a decifrarlo. L’unico che può farlo è un software di mia creazione che ho installato in una chiavetta USB e che ovviamente…>> Ned si appoggiò allo schienale della sedia con un’espressione compiaciuta dipinta sul volto <<…ho nascosto in un luogo sicuro>>.
Gregory scosse la testa sconsolato. C’era ben poco da fare. Sin da piccolo Ned era sempre stato un tipo eccentrico, sveglio e geniale, ma se si fissava su una posizione non c’era verso di fargli cambiare idea. Ora però, questo particolare del suo carattere si stava rivelando un grosso problema. Ned rischiava il carcere, parecchi anni di carcere, senza contare la storia di questo fantomatico bunker che non migliorava affatto la sua condizione. A meno che…
<<Bene Ned, se non c’è altro che puoi dirmi, per oggi abbiamo finito>> Commentò Gregory scuro in volto.
Ned mutò il suo sorriso in un’espressione perplessa. Qualcosa non andava. Gregory riordinò le proprie carte con noncuranza, poi si alzò congedandosi con un freddo gesto del capo… il tutto senza dir nulla.
<<Ok… Allora a presto Greg>> disse Ned senza ottenere risposta… il suo amico si era già allontanato.
Quando la guardia all’ingresso riaprì la porta della cella, Gregory aveva la mente altrove. Stava iniziando a riordinare le idee e le modalità con cui doveva agire. Il processo sarebbe stato lungo e complicato, ma se si muoveva facendo molta attenzione ai dettagli avrebbe avuto una speranza di vincere. Come legale di Ned era tenuto ad informarlo sulla strategia da intraprendere, ma di certo  non gli sarebbe piaciuta, nonostante fosse l’unica alternativa ad una montagna di anni di carcere. Avrebbe pensato al suo amico a tempo debito, ora il primo passo da fare era contattare il dottor Coleman: l’esperto più indicato da cui ottenere un inattaccabile certificato di infermità mentale.

…oggi…
 

<<…poi sono stata assunta come cameriera in un locale stile anni 50. Un posto incredibile! Sembrava come essere tornati indietro nel tempo…>> Wanda non la finiva più di raccontare la storia della sua vita e Ned iniziava davvero ad averne le palle piene <<…era bellissimo lavorare lì, fatta eccezione per un cliente abituale di nome Carl, un tizio basso, tarchiato, sulla cinquantina, che non la smetteva mai di allungare le mani. Un depravato a cui dovevo fare falsi sorrisini mentre dribblavo i suoi tentacoli…>> Grazie ad un piede di porco e un colpo inaspettato di fortuna,  avevano trovato riparo in una vecchia mensa per senza tetto, evitando un’enorme mandria di deambulanti al pascolo. Quello si era rivelato il luogo perfetto in cui trascorrere la notte. Ma alla biondina con i pattini a rotelle non andava proprio di fare la nanna, così aveva dato il via al gioco del “racconta la tua storia” e dopo due ore di chiacchiericcio in semi-apnea, si era sentita solo la sua di storia <<…non potete neanche immaginare quante volte avrei voluto mollargli un bel ceffone, ma era uno stretto amico del mio titolare, che a dirla tutta era anche lui un altro schifoso maiale ingrifato…>> totalmente ignara del fatto che nessuno le stesse prestando la minima attenzione <<Però, ora che mi ci fate pensare, evitare le viscide manacce di quei pervertiti mi ha insegnato a fare acrobazie sui pattini…>>
Amy era seduta poco distante a gambe incrociate e con gli occhi chiusi, assorta in una quieta posa meditativa. La sua katana era a terra ad un palmo da lei, richiusa nel fodero,  come se fosse una creatura dormiente in paziente attesa di essere sfoderata. Nulla sembrava poter intaccare la serietà di quell’immagine immota… nulla, tranne forse quel piccolo gatto insolente che le si arrampicava addosso passando dalla schiena alle spalle e da lì con un balzo fin sopra alla testa, per poi ridiscendere su di un fianco e ricominciare tutto d’accapo.
Phil invece era decisamente più indaffarato. Il bendaggio improvvisato che aveva fatto al braccio ferito con i lembi di vecchie lenzuola, iniziava a manifestare segni di cedimento. Il sangue aveva ripreso ad impregnare la stoffa espandendo visibilmente il suo alone rossastro. Con strattonate decise, il poliziotto stava cercando di tamponare come poteva, ma senza troppo successo.
“Fottuto sbirro”, pensò Ned mentre passava con le dita sulle lettere grezzamente intagliate nel legno della sua mazza da baseball. Seduto a terra e con la schiena poggiata su di una colonna, aveva lasciato a metà la sua razione di fagioli in scatola, non tanto per l’odore nauseabondo che emanavano, quanto per il blatericcio insistente di Wanda su ciò che  faceva prima che “tutto questo” accadesse. Cosa che inevitabilmente gli aveva fatto passare la fame.
Il passato di Ned era solo roba di Ned e lo stupido gioco della biondina poteva anche andare a fare inculo. Ma per quanto si sforzasse di non pensarci, era impossibile evitare ai ricordi di tornare nella sua mente… soprattutto con un piedi piatti davanti agli occhi.

Ned sapeva ed aveva sempre saputo di aver ragione.
Anche quando la sentenza lo condannò ad un periodo di cura non inferiore a sei mesi da scontare in un istituto di igiene mentale, lui aveva urlato a squarciagola, scalciato come un ossesso, era perfino salito in piedi sul tavolo degli imputati per avvertire tutti della catastrofe imminente che stava per accadere… ma era stato tutto inutile.
Il suo vecchio amico Gregory non gli aveva creduto, il dottor Coleman non gli aveva creduto, neanche il giudice gli aveva creduto… nessuno gli aveva creduto. Solo quando dopo molto tempo si scatenò “la fame insaziabile” e le strade divennero territorio di caccia per i non-morti, tutti loro capirono di aver commesso un madornale errore…   ma ormai era troppo tardi.
Tutt’ora Ned non aveva idea del tempo che avesse trascorso in quell’inferno di manicomio… settimane, forse mesi. Gregory lo aveva rassicurato sulla struttura altamente specializzata in cui sarebbe stato curato, grazie anche al supporto dei migliori dottori. Ma la realtà fu molto distante dalle immagini sorridenti sulla brochure pubblicitaria che reclamizzava quel buco merdoso chiamato “il riposo dei sensi”. Ogni giorno era stato costretto  ad ingurgitare farmaci che lo lasciavano talmente stordito da non fargli capire neanche dove si trovasse, per non parlare delle terapie con l’elettroshock… quelle erano anche peggio. Lamentarsi, opporsi, reagire… tutte azioni senza senso, perché le urla di disperazione non sono altro che silenzio quando vengono rinchiuse tra le spesse mura imbottite di una stanza insonorizzata.
Una mattina però, Ned si svegliò nel suo letto, circondato da un’insolita quiete.  La nauseante melodia da salotto che l’interfono distribuiva con meticolosa puntualità in tutte le stanze, quella volta stranamente taceva. Lungo i freddi corridoi biancastri non trovò né dottori né inservienti, ma soprattutto, nessuna guardia a sorvegliare gli ingressi. Una ventina di pazienti vagava ancora a caso nel salone principale, dando di matto come al solito, del tutto  incurante della mancanza di personale. Anche se non aveva mai rivolto parola con nessuno di quegli psicopatici, Ned si era divertito ad affibbiare un “nomignolo” ad ognuno di loro… ed i suoi preferiti erano ancora tutti lì.
Beethoven, un paffuto signore di mezz’età con addosso solo un pannolone come vestiario, sedeva composto e con la schiena perfettamente dritta davanti ad un tavolo, intento ad agitare freneticamente le dita sulla superficie in legno. Nel frattempo, con uno sdentato sorriso ebete stampato sulla faccia, Trilly si muoveva lenta e leggiadra tra l’indifferenza generale, spiegando le sue ali fatte di quella sottoveste che ad ogni apertura mostrava il flaccido corpo rugoso di una donna ultracentenaria. Nei pressi di un cestino vuoto posto in un angolo, si stava ammassando un numero sempre crescente di fogli di carta accartocciati. Michael Jordan aveva trovato un nuovo block-notes e dal modo ossessivo con cui continuava a strappare-accartocciare-tirare, sembrava proprio deciso a segnare il suo primo canestro.
Guardandosi attorno con più attenzione, Ned si accorse che due sciroccati mancavano al suo appello: un invasato in camicia da notte che soleva ergersi su di uno sgabello al grido di “vive la France” e un altro psicotico a cui piaceva  girare per l’istituto indossando un lenzuolo a mo’ di toga romana, pronto a fermare chiunque gli capitasse a tiro accusandolo con voce rotta “Tu quoque, Brute, fili mi!”.
La ricerca di Ned durò solo pochi secondi, finché non gli cadde l’occhio sotto una finestra, nei pressi della porta d’ingresso.
Napoleone era disteso a terra con lo stomaco aperto e le viscere sparse sul pavimento, mentre Giulio Cesare banchettava voracemente con le sue frattaglie. Nessuno sembrava dar loro troppa attenzione, tranne Ned, che in quel preciso istante capì di dover mettere in atto il suo piano anti-zombie.
Gettato via il camice da paziente ospedaliero, riprese i suoi vecchi vestiti che aveva lasciato il primo giorno del suo “periodo di cura”, quindi uscì all’esterno. Il mondo in cui si ritrovò era completamente diverso da come lo ricordava.
La città sembrava una gigantesca zona di guerra abbandonata. Ovunque si girasse, cumuli di cadaveri inceneriti erano stati ammassati vicino ai cassonetti e l’odore nauseabondo di carne morta abbrustolita rendeva l’aria quasi irrespirabile.
Per le strade non c’era anima viva e i pochi individui che vagavano con passo claudicante potevano definirsi tutt’altro che “vivi”. Nonostante la situazione sembrasse precipitata ormai da tempo, Ned non era minimamente preoccupato.     Per anni si era preparato accuratamente a quella specifica situazione, tutto era stato calcolato e pianificato nei minimi particolari. Sapeva esattamente cosa fare. Ned era pronto …se non fosse stato per quel piccolo  intoppo.
A quanto pareva le “terapie” a base di scariche elettriche e pillole psicotrope che avrebbero dovuto curare le sue presunte paranoie, avevano invece avuto l’unico effetto di scombussolargli il cervello. Gli improvvisi attacchi d’ira, i tic nervosi, il sonnambulismo notturno, erano tutti effetti collaterali di poco conto. Ciò che realmente lo preoccupava era non riuscire più a ricordare l’unica cosa che non avrebbe mai dovuto dimenticare: il luogo in cui aveva nascosto la chiavetta USB capace di aprire la porta del suo bunker.
Nei giorni che seguirono provò di tutto per rimediare al danno, dalle testate contro un muro alle tisane rilassanti, ma come risultato ottenne solo gran mal di testa e un saporaccio nauseante di erba-medica in bocca. La sua sola salvezza era nascosta nella sua stessa mente e lui non riusciva ad accedervi… Poi avvenne una sciagura ancor più grande, incontrare Phil e gli altri.

Ned scosse la testa cercando di distogliere i pensieri dal suo passato, anche se il presente che si ritrovò di fronte non era certamente meglio.
Wanda stava continuando il suo show in solitaria, dove l’argomento del momento era diventato il fantastico fidanzato metallaro, e a giudicare da come aveva iniziato il discorso, sembrava proprio averne ancora per parecchio tempo. Il gattino scalatore si era definitivamente arreso alla fatica, addormentandosi avvinghiato ad una mano di Amy che impassibile, sedeva nella stessa posizione di prima.  Appoggiato ad un muro, Phil si agitava nel sonno pervaso da continui spasmi di dolore. Era finalmente riuscito ad arrestare l’emorragia dando un’assestata al bendaggio, ma il suo volto non mostrava affatto una bella cera.
Ned fissò a lungo quel volto.
In qualsiasi altra circostanza avrebbe mandato affanculo lo sbirro e tutta quella strampalata brigata di stramboidi che lo seguiva… se solo le cose non si fossero complicate così tanto. La fetida realtà sanguinosa in cui era costretto a sopravvivere ogni giorno non lasciava troppo spazio alle raffinatezze e un’arma da fuoco, che gli coprisse il culo in quell’inferno di carne morta, era maledettamente utile… anche se quell’arma era di un fottuto sbirro.
Nonostante tutto, Ned era ottimista. Ci sarebbe voluto del tempo, ma la memoria sarebbe tornata e le lettere che aveva intagliato sulla sua mazza da baseball ne erano la prova tangibile. Era accaduto ormai da un paio di mesi, durante una delle sue notti da sonnambulo. Non sapeva com’era successo, ma quando si era svegliato con un coltello in una mano e la mazza da baseball nell’altra, quella scritta era lì, incisa nel legno davanti ai suoi occhi.
“Stephanie”
Benché non avesse la minima idea a chi appartenesse quel nome, Ned sapeva che prima o poi lui avrebbe trovato questa “Stephanie”, e grazie a lei, sarebbe riuscito a ricordare finalmente dove avesse nascosto quella dannata chiavetta USB.
Ne era certo… Doveva esserlo. Quella scritta era l’unico appiglio a cui aggrapparsi per non cadere in preda ad una follia dissennata, che con molta probabilità lo avrebbe portato a prendere un’arma da fuoco e fare una carneficina… ma questa volta non di zombie.

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